L’affaire San Siro: farsa annunciata, danno per la città

Nell’autunno del 2019, quando il Covid era ancora sconosciuto, rispetto alla vicenda del progetto per il nuovo stadio di San Siro e abbattimento dell’attuale Meazza, mettevamo due punti fermi nel dibattito pubblico allora in corso:

  1. il quesito su quale fosse l’interesse pubblico per il nuovo progetto di stadio privato e annesse volumetrie su un’area in concessione;
  2. la convinzione che gli attori in campo stessero recitando un gioco delle parti con un finale già scritto.

Erano i tempi, ricordiamo, in cui da un lato Inter e Milan presentavano il loro progetto faraonico di stadio di proprietà con annesse volumetrie commerciali e ricettive doppie rispetto agli standard previsti dal Piano di Governo del Territorio di Milano, volumetrie necessarie per ripagare l’investimento miliardario, minacciando di portare altrove squadre e stadio (Santa Giulia, ex area Falck a Sesto San Giovanni) se fosse mancato l’appoggio del Comune al loro progetto; dall’altro il Sindaco Sala che si ergeva a paladino difensore dello storico impianto di San Siro e dei rispetti dei vincoli volumetrici previsti dal P.G.T., comunque alti (0,35 mq/mq) in una città che soffoca tra cemento, asfalto e aria nociva.

Le vicende delle ultime settimane hanno proprio preso la piega, purtroppo, ampiamente prevista. L’intesa di massima raggiunta tra l’Amministrazione Comunale e le due società calcistiche sulle compatibilità urbanistiche del progetto di nuovo stadio e parzialissimo mantenimento dell’attuale Meazza (che verrà abbattuto per 3/4 ma solo dopo le Olimpiadi 2026 – di cui ospiterà la cerimonia inaugurale che, per una macabra ironia, rappresenterà al contempo anche la cerimonia funebre dell’impianto), con riduzione degli indici edificatori nei limiti del PGT, ha fatto da apripista al voto favorevole della Giunta Comunale relativamente al riconoscimento dell’interesse pubblico per l’opera; in tal modo ha consentito di agganciare al nuovo impianto privato le volumetrie non propriamente sportive previste dalla Legge Stadi del 2017, che diventano al contempo garanzia di sostenibilità finanziaria del progetto e fonte prioritaria di business e speculazione immobiliare per i due club sportivi, che puntano in questo modo ad assorbire tramite patrimonializzazione un incasso utile a risanare i bilanci in rosso record negli ultimi anni. 

E’ legittimo parlare di farsa perché tanti sono i fatti che lo confermano. A partire dai due attori principali, squadre e Comune, che per mesi hanno alimentato una narrazione mediatica volta a descrivere come unica soluzione ragionevole l’abbattimento del Meazza e l’edificazione di un nuovo impianto, ben sapendo che nessuna delle aree alternative era in realtà libera (a cominciare soprattutto dall’ex area Falck di Sesto San Giovanni) né, soprattutto, gratuita come la concessione che il Comune era pronto ad accordare per il piazzale di San Siro; idem dicasi per il balletto sulle volumetrie e sul mantenimento di San Siro, utile a far passare Sala come paladino del bene comune, quando in realtà stava minando il patrimonio comunale dando il via libera all’abbattimento con relativo danno erariale: 10 mln di locazione annui e 200 mln di controvalore per crediti con le banche a fronte della proprietà del Meazza (e con questi mutui garantiti dal patrimonio demaniale il Comune si garantisce autonomia di spesa per la “manutenzione” della città) – oltre che alla storia, alla memoria e all’immagine della città.

Ma la bugia più riuscita, cui entrambe le parti hanno contribuito, è stato far credere che si stesse parlando di sport e dell’interesse verso i destini di Inter e Milan, insieme a quello più generale della città – minato, si dice, dalla impossibilità di rendere remunerativo l’attuale stadio. Peccato che nel frattempo, inascoltati, dalle parti del Politecnico di Milano tecnici e anonimi ma competenti professionisti, proponevano un contro-progetto: questo andava a dimostrare non solo la fattibilità di una ristrutturazione del Meazza su standard più consoni alle esigenze del calcio-business attuale di sfruttamento dell’impianto 365 giorni l’anno e H24, ma anche il notevole risparmio di costi e tempi di cantierizzazione della zona, peraltro senza pregiudicare il contestuale utilizzo dello stadio e ricavando dall’attuale terzo anello gli spazi commerciali, ricettivi e per l’intrattenimento in modo da rispondere all’ossessione di consentire un uso anche non sportivo dell’impianto.

Proprio questo ultimo aspetto rivela la vera natura dell’operazione che ruota attorno al nuovo stadio, fortemente voluto da Suning e Elliot, le finanziarie proprietarie di Inter e Milan: non certo per motivi sportivi o filantropici nei confronti della città, ma semplicemente per dare valore al loro investimento nel calcio italiano a prescindere dalle funzioni sportive. Il Meazza ristrutturato, seppur compatibile con le esigenze dichiarate, in realtà non va bene alle due società perché non consente l’effetto leva da un punto di vista finanziario; al contrario, ciò verrebbe permesso dall’edificazione del nuovo stadio con relativa trasformazione di tutto il comparto adiacente. Su 150.000 mq di area interessata dal progetto, appena 13.000 mq saranno destinati a uso sportivo e calcistico. Le rimanenti superfici vedranno spuntare volumetrie destinate allo shopping, centri commerciali, hotel, ristoranti e altri spazi per l’intrattenimento: una sproporzione che rende evidenti le vere finalità del progetto da 1,2 mld di euro, fattibile grazie anche alla concessione dell’area di proprietà comunale adiacente al Meazza con un canone irrisorio.

Dalle parti di Palazzo Marino, invece, non hanno fatto altro che proseguire nel solco di un cammino tracciato da anni a questa parte, anche prima dell’attuale amministrazione, e di cui Sala è sicuramente il migliore e più efficace interprete: ossia la parallela dismissione e alienazione della città pubblica da un lato e l’asservimento della Giunta e delle scelte urbanistiche dell’Amministrazione Comunale agli interessi dei gruppi immobiliari e finanziari privati. A chi in questi giorni sta contestando il via libera al progetto di Milan e Inter, il sindaco-manager Sala, con il suo consueto stile autoritario, ha risposto dichiarando candidamente la sua incapacità di trattare con i club; a chi, come l’ex presidente dell’Inter Massimo Moratti in testa, ha lanciato l’appello per salvare il Meazza, ha replicato “compratevelo visto che i soldi li avete”. Perché, come nelle migliori recite, servono le caricature e le battute ad effetto.

In questa commedia, merita un accenno anche il ruolo che ha avuto e sta avendo il frastagliato e variegato mondo della sinistra milanese, istituzionale e non, che già aveva perso il treno e l’occasione due anni fa. Le varie liste di sinistra che hanno appoggiato Giuseppe Sala nelle ultime elezioni escono dalla vicenda avendo perso qualsiasi credibilità politica, tanto nullo è stato il loro effetto condizionante sulle scelte del sindaco, nonostante avessero provato a smarcarsi in campagna elettorale sulla questione alzando proclami contro l’abbattimento di San Siro e la speculazione prevista dal nuovo progetto. Altrettanto dicasi per i Verdi, unici presenti in Consiglio Comunale e Giunta, ma che proprio nel voto di Giunta sulla concessione dell’interesse pubblico hanno dimostrato la loro inutilità e subalternità, assentandosi ipocritamente dal voto anziché opporsi. Ora, in extremis, propongono il “dibattito pubblico”, istituto partecipativo e consultivo della cittadinanza previsto per i progetti non superiori ai 300 milioni, in realtà privo di alcun potere vincolante sulle scelte amministrative. Il giudizio negativo sull’utilizzo di questo strumento di partecipazione, peraltro proprio in questi giorni ritenuto inammissibile dagli uffici comunali per il valore dell’opera in discussione, non nasce da un pregiudizio ma dall’averne verificato impalpabilità e inutilità quando fu lanciato dallo stesso Sala nel 2017/2018 a supporto del fortunatamente naufragato progetto di riapertura parziale del Naviglio Martesana e della Cerchia dei Navigli. 

Parallelamente le forze politiche contrarie al progetto insieme ad alcuni comitati di cittadini starebbero valutando l’ipotesi di referendum (consultivo o abrogativo) sulla delibera di Giunta del 5-11-2021. La strada referendaria potrebbe essere idonea a inceppare l’iter progettuale, ma si presenta ricca di insidie: a partire dai tempi tecnici brevi per poter presentare il quesito e le firme a supporto (120 giorni dalla delibera) e brevissimi per raccogliere le firme per renderlo ammissibile (15.000 firme in 45 giorni). Non solo, ma dopo due anni di macchina propagandistica da parte di club, sindaco, mondo economico, stampa sportiva, trasmissioni calcistiche su emittenti locali, sostenuti da curve e fanclub delle squadre, siamo così certi che il referendum ottenga il risultato atteso? Certo, i tempi previsti dalle normative non consentono di creare un’opposizione in città in grado di far diventare il tema e relativo referendum centrale nel dibattito quotidiano dei milanesi, ma è evidente che senza un’adeguata mobilitazione dal basso l’esito della consultazione rischia di essere un boomerang per i suoi proponenti. Teniamo conto, inoltre, di come sia stato ampiamente disatteso l’esito referendario che nel 2011 vide la stragrande maggioranza dei milanesi votare affinché l’area Expo diventasse, dopo l’evento, per almeno il 50% un parco pubblico.

Da questa vicenda assumiamo due conclusioni politiche centrali:

  1. La macchina del consenso che in questi anni ha conquistato al modello di sviluppo e di città di Giuseppe Sala anche parte della società civile progressista ha solo portato nelle sue fila elettorali voti e “utili idioti” nel consiglio comunale come in quelli municipali. Il tessuto associativo che ha animato e presidiato i quartieri periferici e popolari, costruendo ricche reti di mutuo soccorso e solidarietà dal basso, adesso si trova a domandarsi: “per chi abbiamo apparecchiato la tavola?” Grazie a quello stesso lavoro di valorizzazione, infatti, un business plan a guida democratica ha ceduto il posto di capotavola a fondi immobiliari e finanziari, fondazioni bancarie e grossi soggetti del Terzo settore, che decideranno chi avrà poi diritto a sedersi con loro – o a partecipare ai bandi. In questo contesto non vi è opposizione ai progetti urbanistici della giunta Sala e del blocco sociale che la sostiene, al massimo si cerca l’integrazione in essi e si accetta di operare o di aderire a un marketing partecipativo che li renda legittimi. Spiace dirlo, ma liste civiche pro-Sala e i Verdi si sono confermati i rappresentanti di tale meccanismo – il cui principale referente resta però il PD.
  2. Se per noi è esponente del capitalismo predatorio più rapace, Giuseppe Sala dovrebbe rappresentare una distorsione del processo e della governance democratica per qualunque liberale e moderato di questo paese: un personaggio che si permette di rispondere: “Sul nuovo impianto ormai ho deciso per il sì. Non sono disponibile a partecipare a un dibattito su stadio sì o stadio no che lo metta ancora in discussione” dimostra di essere rimasto il medesimo manager di società privata con soldi pubblici di quando godette, in qualità di commissario straordinario di Expo 2015, dello “spirito di responsabilità istituzionale” riconosciuto da Renzi alla magistratura meneghina. Un uomo solo al comando, abituato appunto a comandare ai sottoposti – e obbedire a committenti e finanziatori. 
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Dal nostro punto di vista, a prescindere da quello che sarà l’esito del tentativo referendario e al di là di ogni ragionamento affettivo e meramente calcistico, la questione centrale resta una sola: la città pubblica e il diritto alla città. E di conseguenza quello da rivendicare è da un lato la difesa del “bene comune” costituito dallo Stadio G. Meazza e del suo valore patrimoniale che nessun canone previsto dal nuovo stadio potrebbe compensare e che se abbattuto costituirebbe un concreto danno a tutte e tutti noi abitanti della città; la difesa del principio che la città pubblica non sia solamente un terreno di conquista e messa a profitto per gli interessi del fondo immobiliare o della società finanziaria di turno sacrificando l’interesse pubblico a quello privato come nella vicenda San Siro.

Da questi ragionamenti vorremmo partire per costruire una mobilitazione dal basso della città contro il progetto: invitiamo tutte e tutti a Piano Terra il prossimo 15 dicembre dalle ore 20.30 per un momento pubblico di confronto e organizzazione