Appunti No Tav

No Tav: che cos’è un movimento popolare

Dal Primo Maggio torinese alla marcia popolare del 27 luglio, passando per campeggio studentesco, Alta Felicità e passeggiate notturne, il movimento No Tav è tornato a crescere a riaffermare sempre più la sua centralità come fronte più caldo dell’opposizione al governo di Matteo Salvini.

L’attuale fase di lotta è caratterizzata dalla presenza al governo dell’unico “partito amico” mai avuto nella storia politica recente. I 5 Stelle hanno costruito parte della propria identità e del proprio consenso elettorale proprio nella contrarietà ad alcune opere che consideravano, un tempo, inutili e dannose, in affinità con il sentire popolare: ma esattamente come successo in altri casi di voltafaccia davanti a movimenti territoriali e vertenze di lungo corso – pensiamo ai No Tap a Melendugno e alla vicenda dell’ILVA a Taranto – è proprio la loro irriducibilità ai grillini che ne rende centrale il ruolo nell’opposizione e nella prossima caduta di questo governo di miserabili. Merito di questi movimenti e in particolare, per la sua ampiezza, del movimento No Tav, è stato di far esplodere le contraddizioni interne ai loro principali sponsor politici più che di promuoverli in politiche nazionaliste e razziste, come invece sostengono i detrattori.

Non ci nascondiamo dietro un dito: per noi il movimento No Tav – di cui dichiariamo di fare parte e non da oggi –, così come gli altri movimenti che hanno animato la piazza del 23 marzo scorso a Roma, sono sempre stati irrappresentabili in un meccanismo di delega parlamentare che impedisce di fatto di sovvertire gli interessi dei grandi capitali privati e di Stato. Soprattutto dove si è trattato di dare il voto a una forza politica sicuramente populista ma non popolare, dai tratti distintamente liberisti e destrorsi su troppi temi cruciali, dall’immigrazione al lavoro. Quindi per noi è stato e rimane un grosso errore aver accordato fiducia agli attuali partner-succubi di governo della Lega di Salvini.

Tuttavia, nel “fronte” Si Tav, molto meno eterogeneo (per composizione sociale e programma politico, dalla Lega al Partito democratico) rispetto agli antagonisti, una serie di luoghi comuni dominano il discorso pubblico, deformando la realtà e contaminando anche l’immaginario di chi, per opposizione a questo governo, identifica automaticamente i No Tav con i grillini o, alla meglio, nome affetti da sindrome nimby. Proviamo a rispondere punto per punto.

“I No Tav sono minoranza nella Valle”

Questo forse il punto più importante: essere un movimento popolare non significa essere il 99% e nemmeno il 51% di una popolazione locale. Significa agire con strumenti di democrazia diretta, attivare comitati eassemblee, dotarsi di presidi territoriali diffusi e permanenti. Significa organizzare un livello di mobilitazione ad alta partecipazione capace di durare. Avere un progetto politico comune e costruito nel tempo – e non un pensiero unico, come invece pare essere tra i Si Tav. Significa, infine, avere un repertorio conflittuale vasto, eterogeneo e condiviso: dagli strumenti istituzionali alle passeggiate notturne, dalle marce popolari alle azioni di disturbo, dagli scioperi locali ai volantinaggi.

“I No Tav sono tutti grillini”

Il movimento No Tav è un movimento popolare e in quanto tale eterogeneo: al suo interno comprende settori della sinistra rivoluzionaria e del mondo cattolico, sindacalisti dissidenti e liberali anti Tav, sindaci e agitatori, ingegneri e filosofi. E sì, certo, anche molti 5 stelle. Ma, tanto per capirci e per provocarvi: è come se ai tempi ci si fosse dichiarati contro il movimento antifascista perché al suo interno c’erano i democristiani e persino i “fazzoletti azzurri” monarchici, o lo si fosse ridotto alle sue componenti a noi meno gradite. La battaglia si gioca all’interno, non all’esterno e contro un movimento che è dalla parte giusta della barricata.

“In Val Susa hanno votato o 5 stelle o la Lega”

Qui un paio di chiarimenti: 

  1. C’è una differenza tra composizione politica e sociale di un movimento popolare e rappresentanza politica: il movimento resta, i deputati se ne vanno;
  2. In un movimento non composto in maggioranza di rivoluzionari, pare normale che le persone votino per chi si propone di rappresentare i propri interessi diretti di sopravvivenza: da questo punto di vista, a ben guardare i comuni No Tav storici (Venaus, Bussoleno), a vincere sono state liste civiche locali nelle municipali, mentre il voto nazionale o europeo è andato, ahnoi, ai 5 stelle – ma, come già detto, la battaglia si gioca all’interno;
  3. La Val Susa, nello specifico, ha una geografia particolare che, per la genesi del movimento No Tav, ha ovviamente influito nel radicamento e nel consenso alla causa contro la Torino-Lione: la vicinanza al mostro e ai suoi veleni, avere la vita rovinata o meno da checkpoint, jersey, filo spinato, posti di blocco, subire o no l’esproprio delle terre: sono i dati strutturali e materiali che hanno formato la coscienza dell’eccezione in cui vive una parte dei valligiani e dunque la base di avvicinamento al movimento e alla sua cultura.

“I No Tav sono nimby

In 30 anni i No Tav hanno prodotto una cultura politica basata sulla difesa non solo degli abitanti del territorio direttamente minacciato, ma di tutte quelle fasce sociali medie e basse che subiscono la violenza del saccheggio, della militarizzazione, dell’avvelenamento e della specuzione di un unico modello di sviluppo, che va da nord a sud della penisola. C’è una differenza tra chi vive, abita, si cura, lavora, va a scuola, mangia, si muove in un territorio e chi invece decide, a livello istituzionale ed economico, su un territorio: è il furto della terra e delle risorse comuni ad essere ancora una volta la base della lotta.

“I violenti sono i No Tav”

Vogliamo essere schietti e diretti: chi si schiera contro il movimento No Tav, con il giudizio pronto sui social e in nome di una spocchia borghese tipica di troppo centro-sinistra, si schiera a favore di una violenza militare di Stato senza precedenti in Italia. Si schiera a favore della sospensione del diritto per un intero territorio e per chi si professa No Tav. 

“Facciamo la Tav, rifacciamo il trasporto pubblico locale”

Le parole del segretario generale CGIL Maurizio Landini, in occasione dell’ultimo sciopero dei trasporti di fine luglio, ci lasciano basiti. Chiariamo: o si spendono risorse per rafforzare il trasporto privato per le fasce medio-alte della popolazione delle principali città del centro-nord oppure si punta al diritto universale alla mobilità e si lotta per la garanzia di quell’elemento base di giustizia sociale che è il trasporto locale, efficiente, pubblico e per tutti. Tertium non datur, caro Landini. C’è lavoro e lavoro, si diceva una volta e a dirlo erano proprio i lavoratori – non i sindacalisti per grazia burocratica ricevuta. 

“I No Tav vengono tutti da fuori la Valle”


I No Tav vengono anche da fuori la Val Susa, proprio perché non c’è solo la Val Susa: l’opposizione ai progetti di Alta Velocità sono stati molti e ramificati in tutto il paese nel corso degli anni. Nei presìdi di Chiomonte e Venaus si sono incontrati e ritrovati i movimenti di difesa territoriale delle altre parti d’Italia – oltre che le lotte no border che proprio lungo i confini italo-francesi hanno protestato contro le politiche migratorie di Salvini e Macron, spesso salvando molte vite durante gli ultimi inverni. Ci sono delle parole d’ordine comuni, ci sono lotte che riguardano tutte e tutti. Proprio dalla chiusura dell’Alta Felicità di quest’anno è stato lanciato un nuovo appello a mobilitazioni comuni a partire da settembre: con buona pace dei Si Tav e signori della devastazione e il saccheggio dei territorio, siamo ancora in marcia.