Se il Piano Aria Clima serve solo a vendere metri quadri, riprendiamoci la città

Una città “zona 30 Km/h” entro il 2030, con parcheggi a pagamento prevalentemente interrati, e libera dal traffico privato per il 2050; riduzione delle emissioni di CO2 del 45% entro il 2030 per diventare città “neutra” a livello di emissioni entro il 2050; 100 Km di nuove piste ciclabili e 70 km di nuove linee metropolitane; estensione dell’Area B; 75% di rifiuti riciclati entro il 2028 e aumento dell’efficienza energetica con riduzione dei consumi del 50% e nuovi impianti solari per 60.000 mq; 220.000 nuovi alberi (anche sui tetti) entro il 2030.

Questi in sintesi i numeri del Piano Aria Clima del Comune di Milano approvato poco più di una settimana fa, dopo oltre un anno di gestazione. Nelle intenzioni del Sindaco Sala e della sua Giunta, il Piano dovrebbe tracciare la rotta per la riconversione della città in linea con le esigenze di contrasto ai cambiamenti climatici e al surriscaldamento globale e per abbattere i livelli di inquinanti che ammorbano l’aria e i polmoni dei milanesi.

Un piano efficace e ambizioso? Così farebbero dire i numeri, ma non è tutto oro quello che luccica. A partire dalle tempistiche: anche il 2022 è iniziato “alla grande” con 35 giorni su 50 con le polveri sottili oltre le soglie di alert. Possiamo aspettare altri 10/15 anni per avere un deciso cambio di rotta? Che senso ha ampliare Area B se poi si deroga per le autovetture che installano la black-box regionale anche se sono altamente inquinanti? Come si coniuga l’aumento della differenziata con la necessità di avere ogni giorno migliaia di tonnellate di rifiuti da bruciare per produrre calore con il termovalorizzatore Silla2? Li importiamo? E ancora 60.000 mq di solare sono 6 campi di calcio, possibile che non si riesca a pensare a una città dove quanto meno i tetti degli edifici pubblici (ma anche per i condomini privati non sarebbe male) siano fonti di energia fotovoltaica e solare termico? E che dire dei 220.000 alberi entro il 2030, un nuovo “epicfail” dopo ForestaMI, più comunicazione che sostanza?

Infine, l’altro grande elemento assente è una visione critica di come i processi di finanziarizzazione dello spazio urbano contribuiscono a loro modo al peggioramento della qualità dell’aria. Concependo ogni metro quadro principalmente come spazio da mettere a profitto, favoriscono il consumo di suolo anziché la protezione o la creazione di spazi verdi. Quasi per ironia, poi, tali edifici – prevalentemente uffici o “palazzi di pregio” – vengono spesso dipinti come “green” e “sostenibili”.

Non vogliamo essere per forza critici e censori del Piano, ma ci sembra in linea con lo stile che Sala sta dando al governo della città: grandi dichiarazioni e impegni “a effetto” che si traducono poi ben diversamente nella realtà. Un Piano in cui brillano le assenze, come per esempio un rilancio coraggioso del TPL dopo la crisi Covid, in cui nulla si dice di quel finto modello di mobilità pubblica e sostenibile che è l’appalto di servizi alle società di sharing mobility; grande silenzio sul consumo di suolo e di aree verdi che in parallelo la stessa amministrazione porta avanti con la vision Milano2030. Per questi motivi, questo piano appare solo come una continuazione delle politiche di #greenwashing e mira a fornire l’illusione che si possa parlare di sostenibilità ambientale focalizzandosi principalmente su un vago concetto di miglioramento della qualità dell’aria (orientato su un lungo periodo) e immaginando crescita finanziarizzata e sostenibilità come se fossero conciliabili.

Appare quindi chiaro come solo una visione politica radicale, orientata al ripensamento strutturale della città, possa essere l’unico “piano” per prevenire e far fronte alle conseguenze dei cambiamenti climatici, visto che non c’è tempo per le soluzioni “soft”. Il prossimo 25 marzo si prepara un nuovo Climate Strike – peraltro in combinazione con la manifestazione nazionale del giorno dopo lanciata a Firenze dal Collettivo di Fabbrica GKN, con la parola d’ordine “Non vogliamo più scegliere tra il lavoro e la salute” – crediamo sia necessario che rientrino nella piattaforma rivendicativa i temi della mobilità e delle politiche urbane, avendo il coraggio che l’unica opzione che vogliamo per il nostro suolo è l’Opzione Zero (costruzioni, emissioni, cementificazioni)