Prepararsi alle Olimpiadi 2026 in tempi di pandemia: sacrificare la salute pubblica per il grande evento

Con il suo ultimo atto, il Governo Conte varando il Decreto CONI ha salvato sicuramente la faccia nei confronti del CIO e del mondo sportivo nazionale, ma ha soprattutto garantito al Comitato Organizzatore e alla Fondazione Milano-Cortina i 500 milioni di finanziamento del CIO per la realizzazione dei giochi olimpici invernali del 2026. 

Può ripartire la macchina organizzativa, soprattutto quella mediatica che narra le Olimpiadi “green” e sostenibili, low-cost, a zero impatto sulle casse pubbliche. Per quanto sia forte la spinta di questi messaggi, emergono sempre di più nei numeri e nei fatti, tutte le criticità, le contraddizioni e i “non detti” che hanno caratterizzato da subito una candidatura, e successivo masterplan a giochi aggiudicati, che impatta su territori posti a centinaia di chilometri di distanza e con problemi di raggiungibilità; con impianti e piste di gara, strutture relative e villaggi olimpici che si raddoppiano o triplicano su più località; con una crescita esponenziale degli interessi e degli appetiti da accontentare. Le opere realizzate per i Mondiali di Sci che a febbraio si terranno a Cortina e i cantieri già avviati nel bellunese sulla viabilità e nel bresciano per il TAV hanno già svelato che Milano-Cortina 2026 non saranno Olimpiadi a impatto zero su territori e consumo di suolo. In quanto al lato economico, nonostante il Decreto CONI, le promesse di Malagò, Sala, Zaia e Fontana hanno già le gambe corte.

Se fossero mancati i fondi del CIO, c’era la speranza che le priorità dettate dalla crisi economica, sanitaria e sociale figlia del COVID19 rendessero impossibile compensare i 500 milioni di euro del CIO e portassero ad altre considerazioni (ma probabilmente anche no) per non gravare ulteriormente sul debito pubblico. Ora che quei fondi sono garanti, salvati dal Decreto, tutti i commensali si attendono la propria fetta di torta, a maggior ragione con il Recovery Plan in arrivo e, solo pensando alla Lombardia, relativi 35 miliardi di euro, di cui Fontana e la sua Giunta hanno già annunciato volerne indirizzare buona parte su infrastrutture e opere viabilistiche (1/3 del totale), ma anche al turismo, entrambe le voci con un occhio prioritario a quanto connesso o funzionale alle Olimpiadi 2026. 

Il solco in cui si sta inserendo la macchina olimpica Milano-Cortina è quello che denunciammo 3 anni fa al tempo della presentazione della candidatura: ossia che la storia delle Olimpiadi degli ultimi 25/30 anni è quella di un costante sforamento dei costi rispetto ai progetti presentati, di un trend prevalente di debito pubblico generato, spesso a livelli insostenibili come per Atene 2004, con lasciti onerosi alla collettività in termini di opere inutilizzate ed elevati costi manutentivi, vedi Torino 2006. Infatti il masterplan presentato al CIO nel 2019, a giochi assegnati per ottenere i finanziamenti, prevedeva spese per la realizzazione di impianti, strutture e dei tre villaggi olimpici e per mettere in piedi e far funzionare la macchina organizzativa per un valore complessivo di 1,36 miliardi di euro. Tolti appunto i 500 milioni del CIO, restavano 836 milioni in capo al Comitato Organizzatore, ossia al CONI e agli enti locali coinvolti, che dovrebbero teoricamente essere coperti da biglietti, diritti TV, merchandising, project financing su singole opere (come a Milano il palazzo del ghiaccio a Santa Giulia), sponsor, lotteria ad hoc. Fosse tutto come previsto si arriverebbe al famoso costo zero promesso e venduto all’opinione pubblica.

Peccato che solo dopo poco più di un anno, a fine 2020, è la stessa Fondazione Milano Cortina, ad ammettere che i costi sono già lievitati a 1,5 mld. Non solo. A questi vanno aggiunti 231 milioni di euro di spese che Lombardia e Veneto hanno stanziato per ristrutturare impianti sportivi già esistenti che saranno utilizzati per i giochi 2026. Ciliegina sulla torta, la Lega ha fatto infilare nell’ultima legge di bilancio lo stanziamento di altri 145 milioni sempre per interventi manutentivi e di ristrutturazione dei suddetti impianti. Insomma i costi tra opere nuove da realizzare e interventi su piste e strutture già esistenti sfiorano ormai i 2 miliardi di euro, e mancano ancora 5 anni pieni per tirare le somme finali. Poi dovremmo aggiungere anche altri 3,8 miliardi di euro di spesa prevista dallo Stato e da Lombardia e Veneto per strade, infrastrutture e trasporti (anche in questo caso con una notevole crescita rispetto alle già alte ipotesi circolate 2 anni fa). Tutto questo mentre altrove, le pur discutibili e contestabili edizioni dei giochi in fase di organizzazione (Tokyo 2021 e Parigi 2024) hanno tagliato e risparmiato rispetto ai costi preventivati centinaia di milioni di euro, proprio in considerazione dei mutati scenari post-pandemia.

Panem et circenses è storicamente un motto e una modalità che funziona alle nostre latitudini dai tempi dell’antica Roma. Chi per mesi ha sperato, affermato, scritto, che la pandemia ci avrebbe reso migliori, che niente sarebbe stato più come prima, che non dovevamo tornare alla normalità per quella era il problema, non ha fatto i conti con l’arroganza e l’avidità degli interessi economici e politici che sono prevalenti non solo a Milano, in Lombardia o in Veneto, ma sicuramente molto accentuati in questi territori. Nelle zone più martoriate dall’epidemia e dove più evidenti sono i fallimenti di un modello sanitario e di una classe politica e manageriale, con l’incertezza di una crisi sociale ed economica annunciata e alle porte che rischia di essere grave anche più di quella sanitari, la priorità resta alimentare con i soldi o con le scelte politiche (vedi Sala con l’accordo sullo Scalo Romana, ma anche il rilancio del progetto Navigli in chiave olimpica attingendo sempre al Recovery Fund) la macchina per i giochi 2026.

Nessun cedimento o rottura delle intese politiche-economiche trasversali sono pensabili, come già visto per Expo 2015 o con i cantieri TAV dalla Val Susa al Bresciano, quando sono in gioco spartizioni di potere che coinvolgono investimenti e controllo territoriale dei prossimi anni. Toccherà come sempre agli abitanti di quartieri e territori sotto scacco e alle loro lotte provare a inceppare la macchina. Se guardiamo a quello che ci aspetta nei prossimi mesi e alla situazione ambientale e climatica che viviamo ci sarebbe più di un motivo per farlo. Sapremo avere, noi e quanti non credono alla narrazione tossica del sogno olimpico, cui tutto è dovuto, la forza e la volontà per provarci?