Rage against the (greenwashing) machine: Milano è una bolla

Abbiamo invitato Lucia Tozzi a parlare della relazione tra greenwashing e Modello Milano a gennaio in occasione di Contesto Urbano, a poche settimane dall’esplosione della pandemia da COVID-19. Quando si è fermato tutto, compreso il traffico aereo, automobilistico e i cantieri, Milano ha conosciuto un’aria incredibilmente pulita, e abbiamo così avuto la prova che non sono le caldaie, ma effettivamente il sistema di mobilità il principale responsabile della cappa di smog che opprime il territorio metropolitano.

Con la lenta riapertura del lockdown, il primo problema che si è posto era come gestire i trasporti pubblici per non alimentare il contagio: la risposta ideale sarebbe stata il forte potenziamento dei mezzi, il reclutamento dei bus turistici per fare viaggiare le persone in sicurezza senza incrementare il traffico individuale. E invece, la scelta è caduta sull’interruzione dell’area C e B e su 35 km di piste ciclabili, un’inezia che non ha nessun impatto sui milioni di auto che si riversano in città, e che però è valso al Comune la menzione sul Guardian di “città green”: puro greenwashing. Le grandi decisioni urbanistiche che sono seguite sono sulla stessa linea: un passo avanti nell’abbattimento dello stadio San Siro, funzionante, e di nuove grandi cubature sulle aree verdi di Milano Ovest, e la devastazione di 4 ettari di bosco trentennale nel Parco Nord per costruire le vasche di cemento destinate al contenimento del Seveso. Milano continua a perseguire la politica del greenwashing e del capitalismo estrattivo alle soglie di un anno sicuramente difficile, di molto probabile esodo da parte della popolazione “a breve termine” (studenti, turisti, lavoratori non residenti) e che si prevede afflitto dalle retoriche della campagna elettorale per le elezioni municipali. È utile rileggere gli effetti delle politiche dell’ultimo quinquennio – oggetto appunto dell’intervento di Lucia a Contesto Urbano, che di seguito vi riproponiamo – per poterle ribaltare nel periodo di fragilità che stiamo vivendo. 

Abstract
La retorica del Modello Milano avallata dalla servitù mediatica è tossica perché oscura questa relazione vampiresca. Roma, Napoli, Palermo o Torino, o i territori marginali del centro Italia o del meridione, non stanno peggio perché sono meno virtuosi o perché non hanno saputo applicare quel modello, ma perché non l’hanno combattuto. È arrivato il momento di farlo.

Trascrizione dell’intervento di Lucia Tozzi durante la tavola rotonda “La città ambigua” all’interno della giornata di “Contesto Urbano”

Seguo OffTopic con interesse da molto tempo e l’anno scorso ne ho parlato in un articolo realizzato per ZERO.
Nonostante la linea editoriale della testata, decisamente allineata alla visione entusiastica della metropoli, ogni tanto riesco ad inserire un po’ di contro narrazione, cercando di far notare le contraddizioni che la attraversano. Tutto questo per dire che persino su una testata come ZERO si riesce, a dire delle cose “inusuali”, sicuramente più che sui giornali mainstream, i quali invece ci raccontano continuamente e in maniera ridondante, questa storia di Milano come modello da seguire, come città più prospera d’Italia, sinonimo della crescita economica ma anche dell’equità sociale, della produzione, delle migliori politiche ecologiche, eccetera.

Insomma, nonostante i dati statistici da paura sulla povertà crescente, tutte le contraddizioni vengono utilizzate strumentalmente in questa narrazione utile a costruire il mito del “Modello Milano”.

Citylife

Questa, che è un’immagine vecchia di come avrebbe dovuto essere Citylife (molto diverse dal risultato finale), ci fa capire bene come il “greenwashing” sia un elemento primario, perché il verde (e lo chiamo verde appositamente, perché usato anche come colore) è utilissimo a nascondere non solo l’inquinamento prodotto e la pessima qualità dell’aria, ma nasconde anche le diseguaglianze sociali.

Questo verde, infatti, viene usato come un “recusare” per respingere sullo sfondo tutte le contraddizioni che, in realtà, in un posto come questo si incrementano in modo vertiginoso.
Qui la ricchezza, infatti, viene effettivamente prodotta ma accumulata nelle mani di pochissimi. I soldi, quindi, non solo non girano tra i poveri e i poverissimi, delle 25.000 famiglie in attesa di un alloggio popolare, o i 10.000 bambini poveri, ma anche nel ceto medio e “professionale” i soldi girano pochissimo.
Le inchieste di Art, ad esempio, ci raccontano di come un creativo, un appartenente alla “classe intellettuale media”, fatturi 1.400 Euro lordi al mese e quindi di quanto sia escluso dalla possibilità di affittare un appartamento a Milano, ma tutte queste contraddizioni vengono nascoste bene dietro il “verde” del greenwashing.

Davos

Il World Economic Forum di Davos, svoltosi in questi giorni, ci da un’opportunità straordinaria per parlare di “verde”.  Avrete visto tutti i giornali contrapporre le immagini di Donald Trump, cattivo e negazionista dei danni provocati dall’inquinamento, a quella di Greta Thumberg che, invece, lo contesta con “verità scientifiche” alla base dei cambiamenti climatici e che lo accusa di aver rubato il futuro ai giovani.

La realtà delle cose non è esattamente così. Nel senso che i veri cattivi non sono tanto i “negazionisti”, come Trump o Bolsonaro. I veri cattivi sono “quelli del greenwashing” che pretendono di darci false soluzioni.
Lo ha ben spiegato Salvatore De Rosa nel suo articolo, secondo me straordinario, intitolato “Apocalypse Davos” e pubblicato recentemente da Napoli Monitor (articolo).
In realtà i “grandi ricchi” del mondo si stanno attrezzando per appropriarsi della tematica ambientale e imporsi come risolutori delle problematiche create dall’inquinamento, traendo immensi profitti dal business delle loro false soluzioni per affrontare i cambiamenti climatici.
In questo articolo, De Rosa illustra i seguenti dati: A Davos ci sono 33 banche mondiali che hanno finanziato, con 1900 miliardi di Dollari,  società che operano nel settore dei combustibili fossili. Jp Morgan, in particolare, spicca per aver investito da sola 196 miliardi di Dollari in quel settore. La Comunità Europea che ha finanziato 29 miliardi di Euro in infrastrutture, come gasdotti e TAP, a supporto dell’estrattivismo fossile per poi parlare di “Green Deal Europeo”, dove invece investe pochi spiccioli.
Questi dati sono importanti proprio per capire quanto le pratiche utilizzate da banche private, gestori di fondi speculativi e istituzioni pubbliche, siano in aperta contraddizione con quanto questi soggetti dichiarano nei loro codici deontologici aziendali, piuttosto che nella comunicazione istituzionale utilizzata dagli enti pubblici europei e nazionali.
La propaganda greenwashing, appunto, viene usata sempre più spesso per far passare le operazioni più speculative come iniziative dai grandi vantaggi ambientali, sociali e culturali.

ENI

Un altro spunto interessante ce lo da l’attacco di  Fridays for Future contro ENI, in cui gli attivisti ambientalisti hanno sfilato recentemente per le vie di Milano, con cartelli come “enikiller”, che vedete nella slide, evidenziando la “tossicità” delle pratiche dell’azienda petrolifera di Stato  italiana che vanno dall’inquinamento alla corruzione internazionale.

La quale, invece, investe grandi risorse nella propria comunicazione aziendale dove rivendica i più prestigiosi riconoscimenti di sostenibilità ambientale, oltre al proprio impegno nella ricerca verso l’impatto zero, il proprio contributo alla cultura e all’istruzione e via dicendo, arrivando a “sollecitare” i media main stream, i quali (forse) per via delle loro mille difficoltà si prestano ad una vera e propria prostituzione comunicazionale, affinché scrivano in modo positivo  delle loro iniziative di “grande sensibilità ambientale”, come le tre aiuole mobili in piazza del Duomo a Milano e altre iniziative “culturali”.
Il Governo, inoltre, ha recentemente annunciato il ruolo che ENI ricoprirà nella formazione dei docenti che andranno a loro volta a formare gli studenti sul tema della “sostenibilità ambientale”.

CDP (Carbon Disclosure Project)

Ci sono inoltre soggetti come ad esempio CDP (Carbon Disclosure Project) che dietro figure giuridiche apparentemente innocue (not for profit charity) e dichiarazioni di intento rassicuranti, come la loro “Focalizziamo gli investitori, le aziende e le città sull’azione urgente per costruire un’economia veramente sostenibile misurando e comprendendo il loro impatto ambientale”, si mettono al servizio del peggior greenwashing.

Questa organizzazione internazionale, come altre, elabora “ranking” di aziende e amministrazioni locali che si distinguono per le loro performance nel rispetto della sostenibilità ambientale e, infatti, vediamo una lista di improbabili città nord americane, australiane e asiatiche che si sono guadagnate un posto nell’Olimpo delle “Climate change A List”, “Forests A List” e “Water Security A List”.

Tuttavia basta uno sguardo all’elenco delle corporation, che a giudizio di CDP risultano “virtuose”, per capire di quanto questi organi “not for profit charity” siano portatori di false soluzioni e se noi non riusciremo a mettere fine alle false soluzioni… saranno le false soluzioni che metteranno fine a noi.