Greetings from Milan: 2026 Winter Olympics are not welcome

Nonostante una pioggia battente, sabato 10 febbraio più di un migliaio di persone sono scese in piazza a Milano, nel corteo popolare convocato dal Comitato Insostenibili Olimpiadi al termine di una settimana di mobilitazioni e iniziative diffuse a due anni dall’avvio dei Giochi Olimpici invernali 2026. Contemporaneamente, sotto la Regione Veneto movimenti, associazioni ambientaliste e comitati locali hanno svolto un presidio per protestare contro le devastazioni che il grande evento porterà nel loro territorio: a cominciare dalla rediviva pista da bob a Cortina, la cui realizzazione è stata di recente assegnata alla Pizzarotti di Parma, nonostante il parere contrario persino del CIO (non noi, ma l’altro) e il fatto che, molto probabilmente, quello che è destinato a essere un nuovo impianto presto abbandonato in montagna non sarà nemmeno pronto per l’appuntamento olimpico. Una lunga lista di adesioni, a testimonianza del grande lavoro di relazioni e incontri, che ha portato a costituirsi una ampia piattaforma e comunità, appunto dalla montagna alla città, che vuole fermare, se non l’evento in sé, i suoi effetti più dannosi e nocivi.

Il corteo ha attraversato un quartiere-simbolo di quelle trasformazioni che il grande evento sta accelerando: partendo dall’irruzione nel “centro fitness” della Virgin aperto in quel che un tempo era il cinema-teatro “Italia” e denunciando l’operazione (“squalo Romana”, appunto) in corso sugli oltre 200.000 mq di area pubblica dell’ex scalo ferroviaria, cementificata per farne una nuova area privata unicamente accessibile per turisti e redditi alti; ci si è mossi poi verso l’ex provveditorato agli studi di corso Ripamonti, comprato da Coima, di fronte cui sta sorgendo nell’ex consorzio agrario l’ennesimo studentato privato di lusso; da lì, in via Vezza d’Oglio, si è attraversato e sanzionato Symbiosis, il nuovo “business district” meneghino (tra gli altri, di Fastweb, Snam, Moncler, LVMH P&C Italia, Amplifon, Boehringer Ingelheim, Mars Group e Fratelli Orsero), realizzato da Covivio che insieme a Coima e Fondazione Prada è già impegnata all’interno di Scalo Romana. Si è poi infine entrati nel quartiere popolare, dove più pesante è la crisi sociale e abitativa: proprio qui infatti sono centinaia le persone che rischiamo lo sfratto nei caseggiati ex ENPAM di via Sulmona, oggi acquistati da un fondo immobiliare USA che vuole rialzare i prezzi, mentre gli inquilini ERP di via Barzoni saranno probabilmente spostati nei caseggiati di via del Turchino perché gli stabili dovranno essere abbattuti e ricostruiti – probabilmente a prezzi di mercato. Passando prima da piazza Gabrio Rosa, il corteo si è poi concluso in piazzale Corvetto, rilanciando la mobilitazione del C.I.O. nelle prossime settimane.

Lo abbiamo detto e lo ribadiamo:

  • bloccare le opere non ancora partite, da Cortina alle infrastrutture viarie che stanno ulteriormente compromettendo paesaggio e sicurezza idrogeologica della Valtellina, passando per la sempiterna Pedemontana lombarda e l’annunciato allargamento dello svincolo A52 a Monza, che taglierà campi e abitato del quartiere San Rocco, fino alla tangenziale Vigevano-Malpensa che continua a minacciare la pianura agricola e la provincia a sud-ovest di Milano;
  • sospendere il prossimo stato d’eccezione che le Olimpiadi invernali stanno già garantendo a cementificatori e costruttori, evitando valutazioni di impatto ambientale e una chiara valutazione di utilizzo sul futuro;
  • cambiare il futuro delle opere urbane, a cominciare dal Villaggio Olimpico nell’ex scalo di porta Romana, in via di realizzazione a Milano e in particolare nei quartieri popolari del sud-est, dentro e fuori il dossier olimpico: destinandoli all’emergenza abitativa, a servizi sportivi pubblici, al diritto allo studio garantito per gli studenti fuorisede e ad ambulatori medici di quartiere;
  • dirottare i quasi 4 miliardi di fondi pubblici destinati alle Olimpiadi invernali sulle politiche sociali, sportivi, casa e servizi.

Tutto questo si può e si deve ottenere. C’è un modello di “sviluppo” ineguale e profondamente escludente, a servizio esclusivo che in particolare nel territorio metropolitano milanese sta mostrando ormai chiaramente tutti i suoi limiti e la sua violenza sociale, in queste settimane messo sotto inchiesta anche da voci differenti dalle nostre: se Expo ha lasciato solo 1 milione di metri quadrati di area agricola cementificata e privatizzata – nei profitti, ma non nei costi successivi, assunti invece dal pubblico -, avallando l’utilizzo di manodopera gratuita e precaria nella città-evento e causando uno spopolamento di redditi medio-bassi e bassi dai quartieri periferici, siamo ancora in tempo per fermare privatizzazioni e devastazioni.

Ci rivediamo per le strade e sui sentieri, in montagna, pianura e città.

Rassegna stampa pre e post-corteo (in aggiornamento)

Galleria fotografica (foto di Luca Q.):