Bilancio Expo 2015: quando la matematica diventa un’opinione

Il 23 maggio scorso il Sindaco di Milano Beppe Sala ha annunciato al mondo, nella ormai consueta diretta streaming dalla sua scrivania di Palazzo Marino, che la chiusura dei conti della società Expo 2015 S.p.A. in liquidazione (di cui, ricordiamolo, lui è stato amministratore e commissario straordinario) ha fatto registrare un “avanzo di 40 milioni di Euro”, spacciandolo come utile a consuntivo del “suo” Expo.

A distanza di cinque anni dalla chiusura dei cancelli, dunque, Sala rivendica nuovamente il successo dell’operazione Expo 2015, a dispetto di “gufi” e detrattori, per confermare le virtù del Modello Milano da lui promosso e come auspicio che con lo stesso spirito si possa rilanciare la città post-pandemia.

Ma come spesso è accaduto in questi tre mesi, non sempre con successo, Beppe Sala gioca con la comunicazione, omettendo i dati “scomodi” e usando una semplice dichiarazione a mezzo stampa da parte del “Commissario Straordinario per la liquidazione della Società EXPO 2015 S.p.A.” Gianni Confalonieri (suo fido ex collaboratore diretto in Expo), per sancire il definitivo e dogmatico successo di Expo 2015, tentando al tempo stesso di archiviare definitivamente le polemiche sui bilanci di Expo, gli scandali e le inchieste giudiziarie che hanno travolto l’Esposizione, portato in carcere quasi metà del management incaricato della sua realizzazione.

Un gioco ben calcolato, dal suo punto di vista (infatti, ancora una volta, si sono levati i corifei già expottimisti a glorificare il modello Milano e il metodo Expo a prescindere), e reso necessario di fronte alla realtà di una città che, proprio in questi mesi di emergenza pandemica per il Covid19, ha dimostrato tutta l’insostenibilità sociale, economica e ambientale, del modello di sviluppo che stava perseguendo e costruito sulla narrazione tossica di Expo 2015. Una città sempre più cara per chi ci vive (con una forbice crescente tra potere d’acquisto dei suoi abitanti e costo della vita), esclusiva ed escludente per chi non può reggere  ritmi dettati dalla necessità di far girare denaro, affari, attrarre investimenti, promuovere il brand, attrarre turisti ricchi e nuovi abitanti per le residenze di lusso proliferate negli ultimi anni.

Una Milano che si alimenta di eventi in maniera bulimica, in cui il marketing territoriale, il diritto allo shopping (meglio se di lusso) e le rendite di posizione finanziarie e immobiliari determinano le priorità, condizionano le scelte amministrative e urbanistiche, ipotecando i bisogni dei suoi abitanti e negando, di fatto, a larghi strati sociali il Diritto Alla Città, un tetto e un reddito che consenta di vivere nella dignità e fuori da sfruttamento e marginalità. Tutti aspetti che trovano nella fuga dalla città avvenuta nei primi giorni di marzo (a inizio lockdown) di migliaia di lavoratori, precari e studenti fuori sede, il dato più evidente: dalla città scappava chi non poteva permettersi i costi della permanenza in una situazione di reddito incerto, ridotto o assente. Ma torniamo a Expo, ai suoi conti e capiamo perché non è tutto oro quello che Sala vuol far luccicare.

Facciamo chiarezza sui numeri

È chiaro a chiunque che un evento “complesso” come Expo (al netto dell’esito finale che avverrà solo al perfezionamento della valorizzazione delle sue aree e dall’esito dei vari progetti che su queste gravano), andrebbe valutato non solo dal punto di vista strettamente economico finanziario, ma anche per il suo impatto ambientale, le sue ricadute sull’indotto commerciale e sulle implicazioni sociali. Tutti aspetti che Off Topic ha già ampiamente trattato sin da quando l’assegnazione dell’edizione 2015, da parte del BIE, è stata attribuita alla città di Milano, annunciando profeticamente quelle che sarebbero state le conseguenze: Debito, Cemento, Precarietà.

Tuttavia, grazie ai bilanci depositati, è possibile definire con sufficiente precisione il risultato economico dell’Esposizione e, per capire i conti di Expo, dobbiamo partire dalle origini e precisamente dall’art. 14 del DL del 25.06.2008 nr. 112 che stabilì il finanziamento pubblico di EXPO 2015 per un totale di 2.318.700.000,00 di Euro.

Quei soldi furono allocati per la realizzazione del sito espositivo, delle opere di pertinenza contenute nel masterplan e per la gestione dei sei mesi di rassegna espositiva. Stiamo parlando dei finanziamenti esclusivamente dedicati e gestiti dalla società Expo 2015 S.p.A. (per inciso una società di diritto privato che ha gestito miliardi di fondi pubblici) e non di quanto complessivamente è stato investito nel periodo 2008-2015, in Lombardia, per opere infrastrutturali di vario titolo e importanza (per non parlare della reale utilità), come ad esempio le tre autostrade che detengono il doppio record di utilizzo sotto le previsioni e bilanci in perdita: BreBeMi, TEEM e Pedemontana. Altrimenti dovremmo parlare complessivamente, per queste opere prevalentemente viabilistiche, di più di 10 miliardi di euro di soldi pubblici che, per una valutazione equa e complessiva, andrebbero imputati ai costi generati da Expo 2015.

Tornando ai numeri della società Expo2015 S.p.A.: rileviamo dai bilanci d’esercizio consolidati nel periodo 2009-2015, che sono stati generati ricavi per 759,01 mln di euro, di cui (si riporta dal bilancio ufficiale dell’esercizio 2015):

Euro    427,14 mln da “vendita dei biglietti”

Euro    214,58 mln da “sponsorizzazioni varie”

Euro    102,22 mln da “ricavi specifici Expo”

Euro      15,07 mln da “altri ricavi”

A questi vanno aggiunti 75 mln di euro, percepiti da parte di Arexpo S.p.A. (la società incaricata del “dismantling” e della “valorizzazione” delle aree espositive che ha per soci gli stessi enti locali interessati da Expo e Fiera Milano), a copertura di “extra costi”.

In totale, quindi, parliamo di circa 834 milioni di ricavi che, a parziale copertura del finanziamento iniziale, generano un disavanzo (ossia un debito pubblico) di circa 1.485 milioni di euro.

Dalla liquidazione di Expo 2015 S.p.A., che è durata ben 5 anni ed è costata 9,5 milioni di Euro (e anche questi andrebbero aggiunti ai debiti generati da Expo), Gianni Confalonieri ci informa che sono “avanzati” 40 milioni che, se prendiamo per buono il dato, riducono l’indebitamento a  1.445 milioni di Euro.

I bilanci societari, si sa, possono essere raccontati in vari modi diversi a parità di numeri.

Ad esempio si può raccontare che, dei 759,01 mln di ricavi, ben 172,2 milioni sono il frutto di pagamenti in “Value in Kind”: vale a dire in “conto merce e/o servizi”, quando anche un qualsiasi studente del primo anno di Ragioneria intuisce la differenza sostanziale ed economica tra un pagamento in moneta sonante e un pagamento in merce che, per definizione, è deteriorabile e quindi svalutabile, o in servizi dove il MOL (Margine Operativo Lordo) del fornitore gioca a svantaggio del committente.

Dettaglio ricavato dalla relazione integrativa al bilancio Expo 2015 S.p.A., esercizio 2015)

Dov’è, quindi, il “trucco” grazie al quale Sala ha potuto dichiarare l’utile di gestione della società? La soluzione è quella di imputare i finanziamenti pubblici nella voce “ricavi”, cosa formalmente corretta in quanto trattasi di “entrate”, se non fosse per il non trascurabile dettaglio che nella realtà si tratta di finanziamenti da parte dei soci e che a questi andrebbero restituiti.

Dettaglio del Conto Economico / sezione Ricavi / del bilancio Expo 2015 S.p.A., esercizio 2015

In sintesi: Expo 2015 S.p.A., a fronte dei finanziamenti pubblici ricevuti per 2.318,7 milioni di euro, ha restituito ai suoi soci 874 milioni generando, appunto, un debito di 1.445 milioni di Euro. Risultato che anche l’ultimo degli analisti finanziari giudicherebbe come disastroso.

Ricordiamo che Expo 2015 S.p.A. aveva la seguente compagine societaria e suddivisione quote:

  • Ministero Economia e Finanze: 40%
  • Regione Lombardia: 20%
  • Comune di Milano: 20%
  • Città Metropolitana di Milano (ex Provincia): 10%
  • C.C.I.A.A. di Milano: 10%

Di conseguenza il debito suddetto dovrà essere redistribuito pro-quota tra i vari soci, quando sulla vicenda si scriverà la parola “fine”.

Expo 2015 S.p.A., a dispetto della sua messa in liquidazione, non ha ancora smesso di drenare risorse pubbliche e di conseguenza di generare altro debito, anche se indirettamente.

L’Esposizione Universale edizione Milano 2015 ha infatti richiesto la costituzione di due società di scopo, legate a doppio filo da un unico incerto destino: Expo 2015 S.p.A. (della quale abbiamo appena visto il poco edificante risultato economico) e la società “gemella”, Arexpo S.p.A., nata con il compito di smantellare, bonificare e valorizzare le aree Expo, delle quali è proprietaria, attraverso i progetti MIND, Human Technopole, nuovo ospedale Galeazzi e campus scientifico della Statale di Milano.

La questione delle aree utilizzate da Expo fu origine di accese polemiche  già in fase di aggiudicazione della rassegna e scelta del sito espositivo. Infatti l’acquisizione dell’area di Rho-Pero, all’epoca di proprietà prevalente di Fiera Milano, fu pagata un prezzo ben al di sopra dei valori di mercato, generando all’epoca un debito di 320 mln, nei confronti delle banche, che oggi pesa sui bilanci di Arexpo S.p.A. Non è quindi possibile esprimere una corretta valutazione dei debiti generati da Expo 2015, senza analizzare anche i bilanci di Arexpo S.p.A.

L’ultimo bilancio di Arexpo disponibile (2018) indica passività per circa 335 mln di euro e un risultato di esercizio attivo di 1,42 mln di euro (una miseria); un risultato che, oltre che preoccupante, è “dopato” dai finanziamenti da parte dei soci pubblici (che sono gli stessi di Expo 2015 S.p.A., con l’aggiunta di una quota minimale detenuta dal Comune di Rho) e soprattutto dai prestiti da parte delle banche; Intesa Sanpaolo su tutte, che già aveva erogato il mutuo per acquisire le aree del sito espositivo nel 2013.

Per superare questa fase di “difficoltà finanziaria”, nel mese di giugno 2017, Arexpo ha chiesto e ottenuto da Intesa Sanpaolo (unica banca disposta a darle nuovamente credito) un finanziamento quinquennale di 32 milioni di Euro. Importo appena sufficiente a far fronte agli impegni operativi fino al primo quadrimestre 2018.

Degno di nota il fatto che il prestito erogato da Intesa Sanpaolo sia stato concesso con una proroga, al 30 giugno 2018, della scadenza delle rate rimaste insolute (di tutto il 2016 e il 2017) relative al mutuo che la stessa banca aveva concesso nel 2013 per l’acquisto delle aree Expo.

La gravità della situazione finanziaria di Arexpo non era certo risolvibile con una “mancia” da 32 milioni. Per evitare alla società di dover portare i libri in Tribunale c’era bisogno di un sostegno ben più corposo. Per prolungare la propria esistenza oltre il primo trimestre 2018, infatti, Arexpo ha diramato una vera e propria richiesta di S.O.S. per mezzo di un “Avviso Per La Manifestazione di Interesse Relativa al Servizio Relativo All’Assunzione di Prestito Finanziario Senior a Favore di Arexpo S.p.A.” per il valore di 210 milioni di Euro.

A correre in soccorso di Arexpo, ancora una volta, la magnanimità di Intesa Sanpaolo che, a guida del pool di banche che hanno aderito per quote all’appello (Banco BPM, MPS Capital Services, Popolare di Sondrio e Banca IMI), è riuscita a erogare questo ennesimo aiuto da 210 milioni, cifra che consentirà di far fronte alle necessità operative fino a tutto il 2019 (non oltre) inclusa, in teoria, l’estinzione del mutuo contratto nel 2013 così da liberare le aree da vincoli ipotecari e renderle commercialmente più appetibili. In sostanza si è cercato di ristrutturare il debito, spostandolo da un gruppo di creditori ad un altro.

Ai munifici aiuti creditizi vanno aggiunti quelli di Regione Lombardia che, attraverso il progetto “Fast Post Expo” (nome involontariamente beffardo), ha già “donato” a Arexpo 50 milioni di Euro e continuerà a farlo a tempo indeterminato fino a quando le aree Expo non saranno definitivamente “sbolognate”.

Quello che, inoltre, emerge dalla lettura dei bilanci e seguendo gli artifici finanziari e societari che hanno caratterizzato tutta l’operazione Expo 2015 è che:

La fragilità finanziaria delle due società Expo2015 e Arexpo è sempre stata nota ai protagonisti (nonostante la spavalderia ostentata dall’allora Commissario Straordinario), come ben raccontano le note integrative con prose al limite dello psicodramma, a causa dei troppi “imprevisti” e dei contributi pubblici che arrivavano a “spizzichi e bocconi”.

  • Il terrore di Arexpo S.p.A. di aver attribuito un valore troppo alto alle aree acquistate, col rischio di chiudere l’operazione con una ulteriore perdita da bancarotta, era tale da spingere la società a richiedere all’Agenzia delle Entrate un rassicurante parere in merito.
  • Il trasferimento delle facoltà scientifiche dell’Università Statale ad Arexpo non è casuale, ma frutto della necessità di quest’ultima di attrarre acquirenti certi e in grado di affrontare gli alti costi di riconversione del sito e di copertura dei debiti fondiari (ovviamente attraverso la valorizzazione delle aree attualmente di proprietà e sedi delle facoltà a Città Studi).
  • Il debito di Expo 2015 continua a crescere attraverso le vicissitudini di Arexpo S.p.A.

Quindi, per tornare alla questione iniziale, l’utile di gestione di Expo 2015 S.p.A. sbandierato da Sala è un dato incompleto e volutamente fuorviante, perché racconta solo un pezzo della storia. Il Sindaco Manager, inoltre, omette di spiegare che Arexpo S.p.A. (con il fine di adempiere alla missione societaria) continua incessantemente ad accumulare debiti.

Come detto in premessa: solo alla fine della complessa vicenda che lega l’area Expo con Città Studi e le scelte dell’Università Statale, potremo tirare le somme finanziarie e bilancistiche di questa vicenda, laddove per quelle politiche, invece, gli anni post Expo hanno solo confermato le critiche e i timori di cinque anni fa.

Nonostante Expo, la realtà

Con queste parole, nell’autunno 2015, titolavamo il nostro bilancio politico di fine esposizione a chiusura del percorso della rete “Attitudine NoExpo”. Il documento si apriva con una visione:

“[…] Ecco la rappresentazione del sistema Paese che riporta a Milano, cento anni dopo, l’Esposizione Universale. Centro destra e centro sinistra insieme, le larghe intese non sono un esercizio retorico o intellettuale, ma il modo di governare comprando il consenso e anestetizzando il conflitto. Negli anni le figure politiche ed economiche sono in parte cambiate, i quattro di Parigi sono stati spazzati via dai competitor interni ai loro partiti. I mondi che rappresentavano sono invece rimasti al loro posto. Expo 2015 è stata per loro “l’occasione che capita una volta ogni cento anni”. Per fare cosa? Business, certo. Ma soprattutto sperimentare il governo di domani……L’emergenza creata ad arte con i ritardi degli anni precedenti apre la strada alla gestione commissariale. L’eccezione diventa regola, la deroga diventa norma. In nome di Expo si sdogana di tutto, dal lavoro gratuito al cemento autostradale, dalle deroghe al codice degli appalti alla convivenza con la corruzione, dall’uso dei poteri commissariali alla legalizzazione delle marchette stampa […]”

Troviamo queste parole quanto mai attuali nel descrivere quanto accaduto in questi anni e quanto del “modello Expo” sia diventato consuetudine, basti pensare a come decoro e lavoro volontario siano ormai un refrain buono per tutte le occasioni, a conferma delle tossine che Expo ha lasciato nel modello sociale ed economico non solo milanese. E crediamo che proprio le critiche politiche siano ancora l’argomento più forte da opporre, prima ancora dei numeri e dei bilanci, a chi oggi vorrebbe riproporre, appunto, il “modello Expo” quale soluzione per rilanciare Milano, la Lombardia o, magari, l’intero Paese fuori dalla crisi economica e sociale che l’epidemia Covid19 ci ha lasciato come eredità.

A costoro vorremmo velocemente ricordare che dopo cinque anni, se i conti economici di Expo non sono ancora chiusi, le eredità di Expo sono scomparse ovvero hanno generato solo pessime conseguenze. Il tema alimentazione, la volontà di affrontare e “sfamare il Mondo” sono scomparse insieme alla “Carta di Milano”, ormai mitologica quanto la “Magna Charta”, travolte dal food-porn, dal rito dell’aperitivo alla milanese e dal proliferare di presunti locali gourmet dalla dubbia qualità, che hanno caratterizzato la Milano post-Expo. La retorica della nuova Milano città-stato, smart-city, capitale europea, paroloni rilanciati dalla grancassa mediatica ma utili solo a celare ai milanesi la portata delle grandi trasformazioni economiche, sociali e urbanistiche (vera priorità del blocco economico e di potere che ha voluto e gestito ieri Expo e oggi le Olimpiadi) che la città ha subito e che ancora sta portando avanti in un solco di costante divaricazione tra linee di sviluppo, priorità perseguite e aspettative e bisogni di chi vive la città.

In questo senso Expo ha creato le condizioni per una ridefinizione, ancora in corso, dei rapporti sociali, urbani e proprietari, dentro la città di Milano e il territorio circostante. Un modello che, allora come oggi, vuole essere sperimentale e di riferimento per l’intero sistema Paese (basti pensare alla Milano apripista sul Daspo Urbano, alla sostanziale privatizzazione delle politiche abitative e dello spazio pubblico, al turbo capitalismo estrattivista, della sorveglianza delle piattaforme e delle app, venduto per sharing economy o interventi pro-sostenibilità ambientale).

Una città in cui l’attesa dell’evento, la promessa del bello che accadrà, del nuovo store di marchio globale o l’ennesimo grattacielo tributo al priapismo dello speculatore di turno sono la benzina di un contemporaneo metodo “panem et circenses” utile a nascondere il saccheggio continuo di suolo, di risorse pubbliche, di tempo, relazioni, solidarietà. Per non parlare del già citato saccheggio di diritti e democrazia che Expo ha lasciato in eredità avendo legittimato pienamente la contrattualizzazione del volontariato come rapporto di lavoro; la precettazione per motivi di ordine pubblico del diritto di sciopero nelle attività considerate “strategiche”, il decoro urbano elevato a valore al punto di essere oggetto di punibilità amministrativa.

Questi i motivi per cui non solo continuiamo a ritenere negativa la vicenda Expo2015, ben al di là dei numeri dei bilanci che ha espresso, e guardiamo con estrema preoccupazione a quanto potrà accadere nei prossimi anni con le Olimpiadi Milano-Cortina 2026, che proprio al modello Expo vorrebbero ispirarsi nelle intenzioni del comitato promotore (dove Sala ha giocato ancora una volta un ruolo da protagonista). Un punto di vista alimentato dall’evidenza che la Milano accelerazionista, a misura di turisti, smart e frenetica e assolutamente antitetica alla città dell’emergenza climatica e ambientale.

Emergenze e conseguenti priorità che la crisi pandemica globale ha mostrato, evidenziando il livello di gravità della crisi climatica globale, ma che a Milano è diventata ennesima occasione di roboanti dichiarazioni, marketing istituzionale e sano greenwashing, senza trovare coerenza nella realtà del continuo edificare, consumare suolo, privatizzare pezzo dopo pezzo la città pubblica, avere il costante record di giorni di sforamento dei limiti delle polveri sottili.

Per cui caro Sindaco, c’è poco da festeggiare per i numeri dei bilanci di Expo 2015 S.p.A. e per l’eredità dell’esposizione, men che meno pensando alla sciagura prossima Olimpiadi 2026. E nessun rimorso per quell’attitudine NoExpo che pratichiamo ancora.

Fonti e link utili:

Contributi

Estratto dal Curriculum Vitae di Gianni Confalonieri, Commissario Straordinario per la liquidazione di Expo 2015 S.p.A.
Estratto DPCM nomina Commissario Straordinario per la liquidazione della società Expo 2015 S.p.A.
Estratto DPCM nomina Commissario Straordinario per la liquidazione della società Expo 2015 S.p.A. / dettaglio costi