Alcune questioni politiche fondamentali verso il corteo del 6 settembre

Lo sgombero del Leoncavallo è stato sicuramente un evento chiarificatore e dirimente: non tanto perché mette fine all’antagonismo in città o alla lunga storia del Leo – in molti l’hanno ricostruita in questi giorni ed è evidente che non si possa parlare di un solo Leoncavallo (come è forse inevitabile fosse per una storia politica lunga 50 anni), ma di diversi succedutisi tra loro sotto molto aspetti con profonde soluzioni di continuità, dall’antagonismo del primo ventennio fino alla svolta “istituzionale” successiva; nemmeno perché rappresenterebbe una sorta di “anno zero” rispetto agli sgomberi e all’attacco agli spazi sociali, a Milano come nel resto del Paese. È per il suo carico di storia e lo spazio occupato nell’immaginario collettivo, talmente pesanti che costringono ad affrontare ambiguità per troppo tempo taciute o messe in secondo piano per quieto vivere e strategia di conservazione e sopravvivenza. E queste riguardano direttamente il “modello Milano” e il rapporto con esso avuto dal Leo, in termini non conflittuali.

Sentiamo, quindi, l’urgenza di porre alcune questioni politiche fondamentali in vista del corteo nazionale del 6 settembre, a partire da alcuni dei motivi più condivisi negli ultimi giorni:

  • “il Comune è stato inerte per trovare una soluzione”: cosa si chiede e quindi si rimprovera alla Giunta Sala di preciso nei confronti del Leoncavallo? Come può, la richiesta legittima quanto particolare di ricevere l’assegnazione legale di una sede, fare parte di una rivendicazione collettiva “per riprendersi la città”? Crediamo che criticare la giunta Sala unicamente per questo “ritardo” nei confronti della vicenda particolare del Leoncavallo sia riduttivo e, da parte di molti, opportunista e sottintenda la legittimità di un solo futuro possibile per gli spazi sociali – quello legalitario della regolarizzazione.
  • “Il valore simbolico del Leoncavallo”: il simbolismo in politica o serve per mobilitare verso una trasformazione futura migliorativa o ha una funzione conservatrice e di tradizione statica, che finisce spesso per giustificare l’esistente. Chiediamo, dunque, rispetto alla vicenda Leoncavallo: quel valore simbolico ci serve per chiedere una maggiore integrazione dell’autogestione nelle politiche di sviluppo urbano promosse con ferocia liberista da Sala e sottoposti oppure per rifiutare questa governance e la cooptazione (avvenuta tramite bandi, spazi nelle “weeks”, “welfare di comunità” e così via) che in 15 anni si è dimostrata perfettamente compatibile con la disuguaglianza e l’iniquità sociali prodotte da quella ferocia?
  • “Lo sgombero rappresenta un attacco della destra alla Milano democratica”: anche ammesso e non concesso che Sala non fosse a conoscenza dell’operazione, crediamo non si possano ignorare due dati di fatto: negli ultimi 15 anni di governo arancio-grigio Pisapia-Sala ci sono stati più sgomberi in città (non solo di centri sociali) che nei 20 precedenti di centro-destra; in secondo luogo, proprio con i voti dell’attuale destra si stava per approvare il “Salva-Milano”, che interveniva a tutela del contesto perfetto per cui oggi il Leo è stato sgomberato; sempre da questa destra è arrivata la solidarietà “garantista” contro la magistratura, nei giorni in cui scoppiava il terremoto urbanistico sotto la giunta. O inseriamo lo sgombero del 21 agosto nell’attuale fase politica non solo nazionale, ma anche specificatamente milanese, oppure rischiamo di sfilare a sostegno della giunta Sala – e delle forze politiche che la compongono e sostengono.

Queste domande non vengono poste a scopo divisivo o per emettere giudizi di sorta . Noi il 6 settembre saremo in piazza – come siamo sempre stati presenti dopo ogni sgombero e nelle piazze che negli ultimi anni hanno affermato il diritto alla città. Ma questo non lo abbiamo mai inteso come “richiesta di partecipazione” a uno spettacolo deciso da altri, quanto come “intervento diretto” dellə abitanti nel governo del territorio e dello spazio urbano – quindi un autogoverno possibile. Se questo corteo vuole catalizzare una indignazione, anche tardiva, ma esistente, potenzialmente radicale e che non si può negare verso percorsi popolari in grado davvero di riprendersi la città, e non farsi strumentalizzare da interessi altri, estranei alla stessa galassia relazionale che ruotava attorno a via Watteau, allora crediamo sia urgente sciogliere ogni ambiguità.