Piazza d’Armi: verde, pubblica, aperta alla città. Appunti per capire a che punto siamo.

Quando abbiamo convocato la prima assemblea presso la Biblioteca di Baggio (novembre 2017) non ci aspettavamo di certo che ne sarebbe scaturito un Coordinamento capace, tra molte fragilità, di riportare l’ex Piazza d’armi della città nel dibattito cittadino e non solo. In questi 500 giorni, prima di lottare “contro” e “per”, abbiamo anzitutto imparato qualcosa su questo luogo. Qui abbiamo verificato la tenuta di quella trama di relazioni nate in seno alla lotta No Canal, qui abbiamo incontrato una biodiversità inimmaginabile in altri parchi urbani, qui ci siamo scontrati con l’indisponibilità dell’amministrazione comunale e di municipio a dialogare con chi ha a cuore il suo territorio e la città pubblica.

Progressivamente, tra un presidio e una serata di studio, abbiamo affinato le nostre parole. Dallo slogan “Verde, pubblica, servizi al territorio” abbiamo riconosciuto il valore dell’oasi naturalistica spontanea e come il tema dello stop al consumo di suolo passasse per la tutela degli ex-magazzini militari. Abbiamo visto progetti, tanti, avvicendarsi minacciosamente senza intaccare in alcun modo la nostra fiducia nella capacità di portare a casa risultati tangibili e riconoscibili dalla cittadinanza.

I grattacieli di Freyrie, il Campus INTER FC, la piazza olimpica, il nuovo stadio di San Siro… quante ne abbiamo sentite sul futuro di Piazza d’Armi? In quante di queste visioni erano contemplati servizi di utilità pubblica, ascolto del territorio, riconoscimento dell’eccezionalità della storia di questo luogo e della sua posizione strategica? Chi, in una sera di mezza stagione, ci passi affianco per una semplice pedalata verso casa non ha bisogno di proseguire oltre, sa esattamente dove si infrange la bolla di calore, riconosce intuitivamente la capacità di assorbimento delle acque meteoriche, il contributo a mitigare l’aria della cintura periferica ovest.

Dall’altra parte del cancello c’è una storia di abbandono, che ciascuno riconosce, ma c’è soprattutto una storia di appropriazione di un bene comune (demanio militare inutilizzato) da parte di una catena di soggetti che si sono passati il testimone, o meglio la “proprietà” dei cittadini: dal Demanio al Ministero della Difesa, dalla Difesa al MEF e da quest’ultimo ad INVIMIT SGR, che, controllata dal MEF stesso, ha il solo obiettivo di valorizzare il patrimonio immobiliare pubblico per ridurre l’indebitamento dello Stato. Il bando Invimit conoscerà la stessa sorte dei progetti precedenti ma chiarisce, anche meglio degli appetiti privati, quanto le sorti di questa periferia e dei suoi abitanti stiano a cuore di chi amministra la città metropolitana.

Si giunge così, passo dopo passo, al nuovo PGT “Milano 2030” che, in fase di approvazione, entrerà in vigore dal mese di ottobre. Anche quest’ultimo quantifica e qualifica la distanza di una politica, spesso troppo sensibile alle esigenze degli asset finanziari privati, dal piano di realtà dei desideri e delle vere necessità di chi vive, attraversa e ama la città. Al netto di dichiarazioni e promesse sempre troppo vaghe e ambigue, da parte dei principali referenti politici cittadini, continua ad essere ignorata la straordinaria funzione ecosistemica dei 35 ettari di verde strutturale di Piazza d’Armi e, nel contempo, persiste la minaccia di urbanizzazione attraverso lo strumento della Grande Funzione Urbana (GFU), che, ricordiamo, secondo le norme del PGT potrebbe prevedere indici di edificabilità fino a 1m/mq (!).

Solo chi ha caparbiamente ignorato la lotta di migliaia di cittadini, mobilitati per la tutela di tutta l’area di Piazza d’Armi (magazzini militari inclusi), le loro proposte concrete e le richieste di un confronto pubblico, può stupirsi di un provvedimento ministeriale di tutela storica e ambientale arrivato dopo un lungo percorso partecipato, fatto di petizioni che hanno generato, infine, un monito europeo. Un vincolo che non risolverebbe la questione, ma porrebbe un freno agli appetiti di chi vede nel territorio e nei vuoti della città solo risorse da sfruttare per rendite immobiliari e profitti finanziari.

E non ci stupisce che al fianco di Maran e del partito del cemento, si siano pronunciate contro il vincolo le grandi associazioni ambientaliste (Italia Nostra Milano e Legambiente). Soggetti che da troppo tempo hanno rinunciato alla conflittualità politica e ambientale dal basso, preferendo ritagliarsi spazi di cogestione con il Comune di iniziative, aree e parchi, snaturando il concetto di partecipazione nella progettazione del territorio. Lo strumento del vincolo (che può essere utile, inutile, o rischioso) deve rappresentare innanzitutto un’opportunità per riportare il ragionamento, sul futuro di Piazza d’Armi, nell’alveo dell’interesse generale che, costituzionalmente, ha il primato sull’interesse particolare, ancor più se privato.

Da questo punto, con rinnovato slancio, deve ripartire un confronto pubblico che si ponga come priorità condivisa la qualità della vita della cittadinanza che, fatalmente, passa dalla conservazione e dal potenziamento del patrimonio ecosistemico e dal recupero del costruito esistente. Un tavolo di confronto con abitanti, comitati, quartieri, che Maran aveva promesso a luglio 2018, contestualmente alla dichiarazione che Piazza d’Armi sarebbe diventata un grande Parco pubblico, ma che ad oggi non si è mai tenuto. Ancora una volta la politica istituzionale ha preferito gli incontri ristretti, il dividi et impera, la finta partecipazione (orchestrata con soggetti di comodo), alla trasparenza e al confronto con le realtà che da anni sono impegnate nella tutela del territorio della periferia ovest di Milano.

La richiesta di vincolo rende possibile ripartire dallo stato di fatto, scongiurare la demolizione degli ex magazzini, pensare in maniera complessiva l’area, liberi dal ricatto di nuove volumetrie. Dal nostro punto di vista questo può avvenire solo dentro una dimensione pubblica e partecipata. Con il chiaro obiettivo che la Piazza d’Armi diventi un grande polmone verde, aperto alla cittadinanza, parco pubblico e oasi naturalistica protetta, con i magazzini recuperati per utilità pubbliche, sociali e di servizio ai quartieri limitrofi. Analogamente siamo convinti che la vicenda della Piazza d’Armi non può essere disgiunta da quanto accadrà nell’adiacente area ora occupata dall’Ospedale San Carlo (di cui sono previste chiusura e demolizione), né da interessi e possibili trasformazioni che aumentano la pressione su un’ampia porzione del territorio della periferia ovest: dall’ex Trotto e relative scuderie, alla vicenda San Siro, per arrivare a tutto il sistema di piste e impianti di allenamento ippici, Borghi e terreni agricoli, o a parco, che caratterizzano questa porzione di città.

Noi siamo pronti a fare il nostro pezzo e, come già accaduto con la lotta NoCanal o con il recente successo al Parco delle Cave, a impedire che il Farwest di Milano cada vittima di appetiti speculativi, o abbandonato al degrado, trincerandosi dietro l’alibi dei vincoli. Restiamo convinti che difendere la città pubblica sia punto di partenza fondamentale per una Milano che non sia solo una vetrina esclusiva ed escludente.