Oltre il reddito di quarantena. Un dialogo con Andrea Fumagalli

Nonostante stia prendendo forma un Primo maggio in quarantena, senza cortei o parade, una delle principali rivendicazioni, forse la principale rivendicazione della Mayday Parade, ovvero il basic income, sta scoprendo una nuova popolarità. Sull’endorsement rispetto alla misura, abbastanza clamoroso, di Mario Draghi e sulla proposta dell’helicopter money, Andrea Fumagalli ha già recentemente parlato[1], proponendo la recente versione di Hong Kong come migliorativa rispetto alla vecchia suggestione dei Chicago Boys. Sul reddito di quarantena, rivendicazione emersa recentemente, in particolare dal sindacalismo di base, per creare le condizioni di una chiusura delle attività produttive affiancandovi tutele importanti ai lavoratori, si è ragionato sul fatto che possa essere un utile strumento per rimodulare sia il welfare del paese sia la conformazione della produzione sulla base dei differenti bisogni che emergeranno[2]. Quel che non ci è chiaro è, però, qual è la leva attraverso cui queste istanze possano prender forma, considerate le difficoltà emerse nelle diverse sedi: europea, nazionale, regionale e comunale.

1. Partiamo quindi da un argomento molto concreto: alla fase 2, la riapertura delle attività per “non spegnere il paese”, molti contrappongono il reddito di quarantena, per non spegnere lavoratori e disoccupati. È meglio di niente ma ad oggi quel di cui disponiamo è pressoché niente. Ci puoi descrivere brevemente che cos’è nel dettaglio il reddito di quarantena e quale potrebbe essere una modalità di finanziamento di questa misura inevitabilmente di carattere temporaneo?

L’emergenza sanitaria, pur nella tragedia, ci dà una grande opportunità: poter iniziare ad avviare un percorso di riforma strutturale del sistema di welfare italiano in una direzione opposta a quella che oggi si sta percorrendo.

Il reddito di quarantena nasce da una proposta fatta dall’Adl Cobas veneta come misura di ammortizzatore sociale temporaneo, comunque legata alla condizione lavorativa. Il concetto poi si estende sino a rappresentare una misura di reddito che prescinde dall’attività lavorativa, ma comunque caratterizzata da temporaneità (come dice il nome). Credo che qui stia l’equivoco e l’ambivalenza del termine, al pari di altri concetti di reddito come reddito di emergenza e reddito di cura.

Dobbiamo invece cominciare a riflettere su come in modo concreto implementare una misura strutturale di reddito incondizionato, a partire dai soggetti più deboli, pover*, inoccupat*, migrant*, precar*, così da permettere di avere le risorse necessarie per fronteggiare inizialmente la situazione di emergenza ma poi diventare permanente una volta terminata l’emergenza. Ritengo che la via migliore sia partire dall’attuale legge sul RdC (Legge n. 5/2019), aumentando la possibilità di accesso e eliminando qualsiasi forma di condizionalità e di obbligo comportamentale, utilizzando l’expertise maturato dall’Inps nell’erogazione. Ed è in questa direzione che si muove la petizione del Bin-Italia, firmata anche da Off-topic. Tale misura dovrebbe essere valida per tutt* coloro, indistintamente, che non possono accedere ad altre forme di ammortizzatori sociali che prevedono un reddito superiore alla soglia di sopravvivenza mensile calcolata dall’Istat pari a 750 euro, cifra che dovrebbe rappresentare il livello minimo del reddito di base (e non l’una tantum di 600 euro, come ora).

L’obbiettivo è favorire un processo di convergenza verso un sostegno permanente al reddito basato, su due canali: ammortizzatore sociale modello Cassa Integrazione legato alla condizione lavorativa per chi ha i parametri per un assegno > 750 euro, e reddito di base incondizionato di 750 euro, per tutt* gli altri, a prescindere dalla condizione professionale e allargata a tutti i residenti (migranti compresi).

Mi sembra invece che si vada in direzione contraria, perseguendo la stessa filosofia che ha caratterizzano gli ultimi governi: la filosofia della toppa al buco. Ogni volta che si presenta una nuova figura lavorativa precaria (ieri, la formazione professionale, poi i co.co.co, poi i voucher, poi gli interinali, oggi i rider, ecc.) si aggiunge, con molto ritardo, un ammortizzatore sociale (dis-coll, Aspi, ora Naspi, ecc.). Questa stessa filosofia pervade oggi il concetto di reddito. Invece di un’unica misura di reddito di base, abbiamo il RdC per alcuni, il reddito di emergenza, per altri, poi si parla di reddito di quarantena, oggi di reddito di cura per le lavoratrici della riproduzione sociale. Vi sono proposte di casse per il reddito per gli agricoltori. Personalmente, chiederei un reddito per i pendolari. Ancora una volta, le politiche di sostegno al reddito rimangono condizionate alla condizione lavorativa e l’attività professionale. Con l’effetto, che si crea burocrazia, distorsioni e iniquità.

2. A questo punto una domanda che unisce l’economia alla fantascienza, il materialismo alla religione: cosa pensi che succederà realisticamente nei prossimi sei mesi, in seno alle condizioni di lavoratori, precari e disoccupati?

Senza voler fare Cassandra, tutti gli indicatori economici prevedono un forte calo della produzione materiale (soprattutto) e immateriale, ad eccezione di quelle legate alla comunicazione virtuale, agli strumenti di controllo sociale, all’elaborazione dei big-data e ai gestori delle piattaforme di e-commerce (es. Amazon) e social media (Facebook). Ciò si tradurrà in una fase recessiva che, come sempre avviene, verrà soprattutto pagata dai soliti noti, ovvero, lavorator*, precar* ecc. con ulteriore allargamento della forbice reddituale. Le fasce dei lavorator* probabilmente più colpite saranno non tanto i lavoratori salariati stabili quanto quelli parasubordinati, i lavoratori autonomi e i precari a termine, a cui difficilmente verrà rinnovato il contratto. Non ci sono lavoratori di serie A (quelli che possono stare a casa) e di serie B (costretti a lavorare), come dice Salvini. Ancora una volta non si capisce (e non ce ne stupiamo) che la vera divisione è tra chi sarà in grado di mantenere un reddito e chi no. La questione è infatti non tra lavoro e non lavoro (anche perché tutti noi, sia che lavoriamo o non lavoriamo, siamo comunque inseriti, volenti o nolenti, in un processo di valorizzazione del capitale) ma tra chi ha reddito e chi no.

Ma ciò che è più interessante notare, saranno gli effetti qualitativi sull’organizzazione del lavoro e le nuove modalità di sfruttamento. Già con la diffusione del capitalismo delle piattaforme, abbiamo visto lo sviluppo di una nuova organizzazione del lavoro che, tramite l’intermediazione di una infrastruttura digitale, consente di mettere a valore non solo la produzione ma anche il consumo, non solo il tempo di lavoro certificato ma anche e soprattutto il tempo di vita. Ora con lo smart-working, che viene sperimentato su larga scala, nella maggior parte delle attività di lavoro cognitivo-relazionale, assistiamo alla domestication del lavoro, con aumento dei ritmi di lavoro: si tratta infatti di un sofisticato strumento di incremento dell’auto-sfruttamento, soprattutto se la remunerazione viene sempre più legata al target da raggiungere. Inoltre, tale nuova modalità consente di aumentare di molto i data-base su cui prosperano i giganti dei big data.

3. Ok, per rigettarci nella più amara e tragica delle realtà, considerate le misure introdotte sino a questo momento da chi sta cercando di gestire questa crisi, notiamo un moltiplicarsi di iniziative (sussidi, buoni pasto, sospensioni di pagamenti) non facilmente accessibili per via di una burocratizzazione in accesso per cui ad ogni singola sfiga viene istituito un aiuto differente. Si poteva pensare a qualcosa di più intricato e di conseguenza socialmente divisivo e poco raggiungibile?

L’insieme dei provvedimenti finora presi è caotico e confuso, oltre modo burocratizzato e di difficile accesso. Non vi è un disegno unico e omogeneo su come affrontare l’emergenza. Si ragiona, come sempre, a tentoni, con provvedimenti e istituti che si calpestano a vicenda (ad esempio, la proposta di instaurare per il decreto di aprile un fondo di 3 miliardi per il reddito di emergenza, quando c’è il reddito di cittadinanza, con il rischio di una cannibalizzazione reciproca).

Vista anche la carenza di risorse messe a disposizioni, l’esito sarà sicuramente inefficiente e insufficiente.

Sarebbe stato più saggio tracciare alcune linee guida (relativamente ai provvedimenti di contrasto al calo dei redditi e alla recessione incipiente). Ad esempio, come già ricordato, un unico reddito di base incondizionato da affiancare agli ammortizzatori più “ricchi” (di fatto solo la Cassa e il vecchio sussidio di disoccupazione, in alcuni casi), così da costituire un architrave per la costruzione di un welfare futuro; un unico strumento di creazione di liquidità e di linea di credito per le imprese, garantito al 100% dalla Cassa Depositi e Prestiti, sulla base di una semplice autocertificazione (soprattutto per le piccole attività); attivazione di servizi sociali indiretti al reddito, requisendo a livello regionale e municipale tutto ciò che è necessario per fronteggiare la pandemia; l’introduzione di una tassa straordinaria di solidarietà sui redditi (non patrimoni) superiori agli 80.000 euro l’anno.

Aggiungo che il problema del finanziamento di tali misure, da un punto di vista economico, non si pone, se si considera che oggi la creazione di moneta “ex-nihilo” (dal nulla) non ha effetti inflazionistici (i 2600 miliardi di euro creati dalla Bce dal 2015 a oggi, con le politiche di quantitative easing hanno avuto un effetto di 0.5 punti sull’inflazione e hanno invece finanziato la speculazione finanziaria internazionale) e ogni Stato potrebbe emettere già oggi dei Titoli di Stato da far acquistare alla Bce, se solo l’Eurogruppo si coordinasse in tal senso con un forte controllo sui tassi d’interesse. La questione è quindi puramente politica.

4. Per chiudere, un tema a noi caro è quello della rendita, la cui sopravvivenza sembra il fulcro delle iniziative introdotte dal governo (ovvero offrire liquidità per pagare i prestiti, gli affitti, i mutui ecc.). Nel 2010 (o giù di lì) si parlava di diritto all’insolvenza: quanto può esserci utile oggi un’opzione del genere?

Oggi la rendita è al centro del processo di accumulazione capitalistica. E non può essere altrimenti dal momento che i mercati finanziari sono oggi il motore di tale accumulazione e ne determinano la distribuzione. Non a caso, si parla del “divenire rendita del profitto” e “del divenire rendita del salario”.

In quanto reddito di proprietà, la rendita consente un doppio rendimento: quello che deriva dall’utilizzo della proprietà (l’affitto per un appartamento, un dividendo per un’azione, gli interessi per i titoli di Stato, ecc.) e quello che deriva dalla variazione del suo valore a prescindere dall’uso che ne viene fatto (ad esempio, la plusvalenza per la proprietà finanziaria).

Perché la rendita sia fruttifera in entrambe le forme di rendimento, è necessario che venga resa disponibile un’elevata liquidità monetaria. Le politiche monetarie espansive hanno svolto questa funzione, al punto che sino all’inizio dell’emergenza economica la rendita finanziaria, in termini di capital gain, aveva raggiunto i massimi storici. Dopo aver nicchiato, la Bce si è decisa a mettere sul piatto 750 miliardi di euro il giorno dopo il crollo della borsa di Wall Street, quando le perdite degli indici di borsa avevano superato il 30% in poche settimane.

La liquidità viene però distribuita in modo non omogeneo e soprattutto differenziato. Solo poche gocce arrivano alle fasce più deboli della società. Di conseguenza, come un contratto di lavoro a tempo determinato non viene rinnovato causa Covid-19, così è del tutto sacrosanto non pagare i debiti (in primis l’affitto, il mutuo e il trasporto) causa Covid-19. Proporrei al riguardo, di stampare e diffondere un modello di autocertificazione, sul modello di quelli fatti dal Viminale per le eccezioni agli arresti domiciliari, in cui si giustifica il mancato pagamento per ragioni urgenti e stato di necessità indotto dalla pandemia.


[1] https://www.dirittiglobali.it/2020/03/andrea-fumagalli-helicopter-money-si-ma-i-soldi-vadano-alle-persone/

[2] http://effimera.org/la-vendetta-del-welfare-di-andrea-fumagalli/