#NoTav | Cosa si cela dietro la ritirata francese?

«Ci si può chiedere se prolungare questa o quella linea ad alta velocità per un guadagno di tempo marginale sia preferibile al mantenimento della rete secondaria del trasporto ferroviario, indispensabile perché utilizzata da molte persone».

Le parole usate da Jérôme ­Cahuzac (ministro del Bilancio d’oltralpe) per giustificare l’ipotesi di ridiscutere le 14 tratte ad alta velocità messe in cantiere dal governo Sarkozy, farebbero sorridere il più tiepido dei sostenitori della resistenza notav…e sostenitori tiepidi, dalle nostre parti, proprio non ce ne stanno. Dalla mattina di ieri fiumi d’inchiostro sono stati spesi per commentare la decisione del governo francese di incaricare una commissione di tecnici e parlamentari di verificare l’utilità e l’attualità del faraonico piano sull’alta velocità (260 mld d’investimento per 2000 km di tracciato) progettato all’Eliseo dall’entourage di Sarko. Nell’arco di ventiquattro ore Parigi annuncia una decisa riduzione del contingente militare in Afghanistan e individua nel taglio dell’alta velocità una possibile, concreta, risposta alla crisi.

Le parole del governo francese, suffragate nel corso della giornata dal direttore della SNCF (il corrispettivo delle nostre Ferrovie dello Stato), sono senza mezzi termini una doccia gelata per il progetto europeo di infrastrutturazione ad alta velocità/capacità ed in particolare per il governo e il già poco credibile asse parlamentare italiano. Parole che non possiamo che accogliere con il sorriso sulle labbra, e che, tuttavia, sarebbe sciocco assimilare al di fuori di una lettura tutta politica sul piano delle nuove iniziative di finanziamento delle grandi opere in ambito europeo. Possiamo salutare con lenti nuove l’ipoteca sulle tratte TAV a partire da due considerazioni.

1) Possiamo apprezzare il peso specifico della probabile rinuncia ad alcune delle tratte in cantiere ricordando che la Francia è il paese europeo a più alta e più antica infrastrutturazione in materia di alta velocità. Questo significa che tutte le  argomentazioni sulla TAV come scommessa da comprendere in una logica sistemica di corridoi interconnessi e legata a tempi di rodaggio decennali è un castello di carte. Se l’unico paese con bilancio d’esercizio positivo lamenta la riduzione dei traffici e l’inconsistenza degli aumenti previsionali lungo l’arco alpino, è proprio il caso di dire che la presa di posizione si fa parecchio più interessante. Gli esperti nel settore, i francesi che più di ogni altro hanno investito e quotidianamente viaggiano in alta velocità, spingono sul freno e mettono in discussione l’urgenza di nuove tratte. La Torino-Lione, è già medaglia d’argento sul podio delle inutilità.

2) Una presa di posizione tanto inaspettata e radicale non viene per caso. Ridurre le dichiarazioni di ieri a valutazioni di carattere squisitamente tecnico svaluterebbe decisamente il senso della posizione francese. E’ pur probabile che per il governo Hollande addossare le responsabilità di un piano di “sviluppo” mal tarato abbia le sue comodità: si rimandano nel tempo gli odiati tagli sul sociale, giocando al contempo di scaricabarile sulle nefandezze del precedente governo. Proviamo però a ricollocare questa presa di posizione nel dibattito europeo sul meccanismo dei finanziamenti alle grandi opere: se oggi sono i singoli stati a finanziare le tratte nazionali e l’Europa partecipa per il 40% (è il caso specifico della Torino-Lione) al finanziamento delle tratte internazionali tra stato e stato, domani le cose potrebbero funzionare diversamente. Gli stati europei, restii a mobilitare le risorse sufficienti per le grandi opere con il meccanismo noto, richiedono a gran voce  un ribaltamento del meccanismo contributivo funzionale a interventi più sostanziosi da parte dell’UE. In questo senso la retromarcia della Francia si può leggere come un aut aut: o si rivedono le regole d’ingaggio, e l’Unione comincia ad investire considerevole sull’alta velocità quale progetto strategico, o non samo disposti ulteriormente a fare da apri pista pagando il conto di un sistema della mobilità comune che stenta a decollare. Il ricatto francese fa paura all’Italia ma legittima soprattutto le posizioni di quanti (il Portogallo proprio sull’AV ma si pensi al caso di Roma con la candidatura olimpica mancata) si sono già sottratti al carico economico-finanziario delle grandi opere come matrice di debito pubblico.

Resta da capire se il segnale francese otterrà un cambio di passo nel dibattito europeo o resterà una buona (anche ottima) idea per riaprire su basi nuove la dialettica sull’inutilità e la nocività (aggiungiamo noi) del TAV. Di certo la lotta NoTav ne esce consolidata nelle ragioni e nelle pratiche di resistenza all’Europa a due velocità. Entrambe fuori misura.

Cosa aggiungere? Ne riparliamo, magari proprio al campeggio di Chiomonte nei prossimi giorni.

Alcune fonti: BlackOut | InfoAut | IlPost

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