Il mix funzionale-culturale e la battaglia per la cultura a Milano: il caso del cinema Odeon

Nella Milano che riparte lo spazio urbano è attraversato da progetti di trasformazione e promozione territoriale incessanti. In ultimo (oramai penultimo), lo storico multisala del Duomo, quel cinema Odeon ora The Space la cui realizzazione risale a ben prima del cinema, al 1803 (nasce come sala teatrale), poi diviene nel 1880 centrale termoelettrica di una Milano che accompagnava le velleità industriali di un giovane regno italico, nel 1929 si trasforma in cinema a supportare l’imporsi della settima arte seppure all’interno di un regime, quello fascista, che ben poco ha offerto alla disciplina, poi multisala, una delle prime ad imporsi nel paese, nel 1986, a segnare il passaggio del cinema ad un’epoca segnata dalle grandi concentrazioni nel campo della distribuzione.

Arrivarono poi di nuovo gli anni zero ad imporre la fine per la maggior parte delle sale cinematografiche cittadine, divenute garage sotterranei, locali, negozi di biancheria intima glam ed Apple store o altre emanazioni della nuova Milano verticale. Oggi la stessa sala si conforma, come avvenuto in passato, all’ambiente circostante e diviene il nuovo progetto di DeA Capital Sgr (Gruppo DeAgostini), una delle Sgr su cui abbiamo concentrato l’attenzione nella nostra recente mappatura, il cui patrimonio a Milano si focalizza in particolare sul centro città (Rinascente, palazzo delle Poste in Cordusio e Galleria Passarella in San Babila per citare 3 luoghi iconici).

Il progetto del nuovo Odeon non cancella lo spazio dedicato al cinema, rimarranno 3 sale relegate al piano sotterraneo (su cui rimandiamo all’immaginario horror ed alla gestione dei piani interrati come luoghi in cui accadono le peggiori atrocità), oltre che gli interni molto suggestivi dedicati ora però non più a foyer della sala ma ad hall di uno spazio commerciale da 5 mila metri quadri. Che il multisala Odeon offrisse un quantitativo di posti e di pellicole molto superiore alla domanda non c’è alcun dubbio. Probabilmente proprio questa considerazione permette oggi agli investitori e a Maran di parlare di “rinascita del cinema Odeon” – nel senso di resurrezione stile walking dead. Probabilmente il nuovo Odeon non avrà più bisogno di ospitare assemblee sindacali, iniziative pubbliche particolari o anche solo il Milano Film Festival (recentemente traslocato in quella sede) data l’assenza dei tre quarti delle sale presenti. Sicuramente l’Odeon si accoda ad altri progetti simili, meno faraonici ma accomunati dall’obiettivo di offrire al consumatore innanzitutto elementi di continuità col passato e con la tradizione architettonica (da cui la conservazione di foyer e sala principale) combinati ad elementi di novità, ovvero gli spazi commerciali presenti in abbondanza in centro, inseriti in un contesto dove la volgarità estrema del consumo è annacquata dall’incontro col consumo culturale, sempre quindi consumo ma di un oggetto più complesso in grado (sempre più raramente) alle volte di sfuggire alle volontà del distributore. Per gli spazi commerciali si parla poi di Harrods e Lafayette, a supporto dell’immagine internazionale di Milano, a place to be.

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Proprio sul consumo culturale in questi anni in città si è combattuta (e tuttora si combatte) una sfida determinante che ha messo alle corde tutti quei soggetti finanziariamente più deboli ora in ulteriore difficoltà dovuta alla pandemia. Il fronte della cultura in città offre problematiche che portano i gruppi che vi lavorano a fare i conti con le possibilità di finanziarsi in altri modi, creando entrate extra grazie anche a cui la pianificazione artistica continua a procedere. E’ normale, ad averne le possibilità, cercare un rimedio alla diminuzione del pubblico pagante; è addirittura auspicabile trovare un modo per avere entrate aggiuntive attraverso cui pagare meglio gli artisti e le maestranze, è sicuramente difficile riuscire a conservare quell’equilibrio fra desiderio di produzione culturale a stimolo del dibattito sociale e bisogno di sopravvivenza ricercata attraverso metodi extra artistici. Sebbene, pare, non ci si possa esimere oggi dal variare la propria attività attraverso uno sguardo che faccia i conti con il bilancio sempre in bilico, è altrettanto evidente che questo tipo di processo, inserito nella Milano del mix funzionale culturale 3 sale cinematografiche, 4 ristoranti e 5 mila mq commerciali, può portare a derive pericolose e soprattutto irreversibili.

Fino a quando il cuore dell’attività è la produzione culturale finalizzata alla crescita di dibattito pubblico, il campo di battaglia della cultura a Milano rimane un ambito vivo, da difendere e dove è addirittura possibile ragionare sul contrattacco. Nel momento in cui il cuore dell’attività diviene quello puramente commerciale, scema quindi l’attenzione anche nei confronti della proposta, a quel punto quel campo diviene parte integrante di una rete commerciale in grado di offrire semplicemente consumo diversificato e pacificato, inserito fra un aperitivo ed una cena.

In questo contesto la fine dell’occupazione di Viale Molise da parte di Macao e il ritorno nei ranghi dell’assemblea che aveva presidiato il cortile di Via Rovello costituiscono sicuramente elementi di preoccupazione per tutti coloro che ambiscono ad un piano culturale metropolitano, culturale tout court, in grado di inserirsi fra le maglie strette del potere finanziario e commerciale per creare nuovi punti interrogativi metropolitani.