Nessuno cancellerà questo sangue. Riflessioni sulla lotta al Testet e sulla morte di Rémi Fraisse.

Ripubblichiamo in combo con Torchiera un articolo lungo prodotto dagli attivisti di NoTav Paris che ce l’hanno segnalato

Nessuno cancellerà questo sangue. Riflessioni sulla lotta al Testet e sulla morte di Rémi Fraisse.
Questi 3 capitoli sono il risultato di una scrittura collettiva che aspira a fare il punto dopo due settimane di mobilitazioni intense vissute da un gruppo di italiani attivi nella realtà parigina.

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Capitolo 1 – La diga del Testet, un’opera inutile e una ZAD per la difesa del territorio 

Il progetto del Testet, consiste nella costruzione di una diga sul fiume Tescou, nel comune di Lisle-sur-Tarn nella  provincia del Tarn, a 50 chilometri a nord-est di Tolosa. Questo progetto è previsto in un’area naturale d’interesse ecologico, faunistico e floreale che viene inserita nella classificazione delle zone umide di interesse nazionale. La superficie è per il 70% boschiva e costituisce un enorme bacino di biodiversità: questa zona ospita 94 specie animali protette e 353 tipi di  piante. Per questo, è la zona umida più importante nella regione del Tarn dal punto di vista della biodiversità. Leggi tutto “Nessuno cancellerà questo sangue. Riflessioni sulla lotta al Testet e sulla morte di Rémi Fraisse.”

Se anche il post-Expo è Expo Flop

Il 15 novembre scade la gara per la vendita dei terreni che ospiteranno il sito Expo 2015. Base d’asta 315 mln di euro, poco più di quanto sia stato investito per acquistarli, più gli interessi. A oggi non si è ancora presentato nessuno, il rischio che la gara vada deserta è concreto. La gara è stata resa necessaria, ricordiamolo, perché per la prima volta Expo viene fatto su un’area che era privata e che è stata acquisita con un Accordo di Programma predisposto della Giunta Moratti nel 2007 e approvato dalla Giunta Pisapia nel 2011.
Perché questo rappresenta un problema? Perché la società Arexpo, oggi proprietaria dei terreni, il cui capitale (per ora 94 milioni di euro) è composto circa per il 70% da soldi pubblici, ha acquistato quei terreni da privati (principalmente Gruppo Cabassi e Fiera s.p.a.) a caro prezzo., Entro fine anno Arexpo SpA dovrà offrire garanzie per 160 mln di euro alle banche che le hanno prestato i soldi per l’acquisto dell’area espositiva.
Ma se il pubblico ha acquistato a caro prezzo, perché ora quel valore non spinge potenziali compratori a farsi avanti per chiudere l’affare di acquisto di aree edificabili a Milano? A dirla tutta già nel 2011 c’era chi esprimeva perplessità, e non solo la rete No Expo. Persino dalle parti del PD qualcuno esprimeva perplessità, come si legge in una nota del luglio 2011 della consigliera Anna Scavuzzo (ai tempi ancora consigliera per lista civica Pisapia sindaco, oggi nel PD) a commento dell’approvazione dell’ADP: “Masseroli ha messo in guardia rispetto al valore dei terreni di Expo e alla loro possibile svalutazione, noi di maggioranza abbiamo ribadito fiducia al Sindaco e alla Giunta, votato a favore di un documento che non amiamo, ma che rispetteremo, e mi pare che tutti abbiamo voluto dare avvio a un nuovo periodo per Expo”.

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Di sicuro non è semplice capire cosa realizzare in un’area del genere (110 ettari), considerando l’impossibilità di Arexpo SpA di promuovere un’operazione di vendita il cui ritorno sia inferiore al costo d’investimento prevalentemente pubblico iniziale (la Corte dei conti non la prenderebbe bene, e neanche i cittadini). E’ difficile capire il perché un operatore privato, conscio delle problematiche del venditore, conscio dell’impossibilità di recupero nel breve, nel medio e nel lungo periodo di un investimento così elevato, debba farsi avanti (emblematico il palese bluff prima del Milan e poi dell’Inter: i tanto declamati stadi privati in giro per l’Europa sono costati nel complesso mediamente 1/6 di quello che queste due società avrebbero dovuto pagare solamente per l’acquisizione dei terreni). Leggi tutto “Se anche il post-Expo è Expo Flop”

Democristiano, pregiudicato, immanicato: per Expo 2015 profilo perfetto!

Prendete un manager navigato di aziende ed enti pubblici o assimilati, Claudio Artusi, un figlio della DC prima repubblica, condannato per corruzione, già manager dell’Anas e amministratore delegato di Fiera Milano, nonché di Sviluppo Sistema Fiera, per cui ha curato la vendita dell’ex area fieristica in città a CityLife, di cui è diventato poi presidente fino al 2012; amico di Roth, deus ex macchina di Fiera, e con targa Compagnia delle Opere. Bene, dicevamo, prendete il suddetto personaggio, mettetelo al coordinamento degli eventi di Expoincittà, ossia la rassegna culturale che per tutto il 2015 dovrebbe animare Milano durante Expo2015.

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Unite a questa bizzarra nomina, evidentemente bipartisan visto che Expoincittà dipende dal Comune di Milano, due vecchi arnesi della prima tangentopoli come Greganti e Frigerio (entrambi indagati e agli arresti domiciliari per tangenti legate agli appalti di Expo); aggiungeteci a piacimento le tante figuracce che ExpoSpa sta facendo tra dichiarazioni, expo flop, litigi, ritardi e rinunce, ed avrete il cocktail perfetto che riassume a 180 giorni dall’apertura dei cancelli, lo stato delle cose dalle parti di via Rovello. Manca solo di trovare Sala, Pisapia e Maroni in piazza Duomo a fare l’elemosina per i soldi mancanti e Foody in un centro per il compost e il quadro sarebbe completo.
A guardar bene a quello che sta accadendo sembrerebbe che un nucleo di NoExpo si sia abilmente infiltrato nella macchina organizzativa di Expo con il chiaro intento di sovvertirla dall’interno, ma purtroppo non è così. Ormai gli argini sono rotti: i tempi stretti, le inchieste, la lotta NoCanal, la montante rabbia contro il lavoro volontario, stanno facendo evidentemente perdere la misura ai vertici di Expo Spa e ai suoi partner e soci Istituzionali. Il senso di ultima spiaggia affidato ad Expo anche dal governo Renzi e i contenuti eversivi che i dispositivi del megaevento si portano appresso, stanno in realtà rivelando tutti le bugie e le false attese costruite attorno a Expo da 7 anni a questa parte.
Da un lato abbiamo Cantone, un supercommissario anticorruzione con delega alla supervisione degli appalti di Expo, in deroga ai poteri speciali del commissario unico Sala, che già gode di abbondanti deroghe su leggi e procedure standard, che si dice impotente e che, di fronte a tangenti dichiarate e corruzione esplicita per gli appalti della Via d’Acqua, delle strutture di servizio e del Padiglione Italia, si limita a commissariare le imprese coinvolte senza nulla eccepire su appalti, costi, natura e utilità reale dei progetti e delle opere pagate con debito pubblico e per cui sono state pagate tangenti o alimentate corruzione e malaffare (per tacere di quanto le mafie hanno sguazzato in tutto ciò tra movimento terra, subappalti, caporalato).
Dall’altro assistiamo a un teatrino che continua come nulla fosse, senza neanche la decenza di guardare i curriculum dei candidati manager che verranno pagati per far funzionare la macchina del megaevento, annessi e connessi; questo mentre contemporaneamente si fanno le pulci ai candidati non in linea (di pensiero forse?) rispetto ai profili per i tanti lavori gratuiti (il volontariato è roba seria non staccare i biglietti o dare indicazioni a chi non trova i cessi) che Expo propone e necessita a fronte dei pochi posti effettivamente retribuiti.
Alla faccia della retorica del Sindaco Pisapia su Expoincittà, a noi sembra che finora questi eventi stiano rilanciando solo le quotazioni di vecchi personaggi di cui pensavamo di esserci liberati, a conferma di quanto diciamo non da oggi, ossia che il problema non è legalità o meno, ma quello della corruzione non solo politica ed economica, ma anche culturale e ideologica che Expo genera e di cui si alimenta. Non c’è niente di illecito nella nomina di Artusi, ma certo è imbarazzante il suo curriculum e la sua attitudine al conflitto di interessi (ma anche di questo dalle parti di Expo sono esperti sin dalle origini..)
Tangenti, bonifiche non fatte, sfruttamento e lavoro gratuito, un sottobosco di malaffare che torna protagonista, mafie, costi e conseguenze scaricate su collettività, tutto pagato con debito pubblico, ma la retorica non si ferma, anzi si fa tossica, nel momento in cui, ma anche questa non è una novità, usa i più indifesi per guadagnare il consenso mancante. Ed ecco così che ai millantatori reclutatori di volontari nelle scuole superiori e nelle università, si uniscono, in maniera meno evidente, più soft, presidi e insegnanti delle scuole dell’obbligo che inseriscono Expo nei piani didattici 2015, con visite e approfondimenti. Senza alcuna possibilità di confronto o critica, se non negli inutili istituti di rappresentanza delegata, e giocando sulla fascinazione e sull’impossibilità di opposizione da parte di alunni e alunne.
Se non è corruzione questa come chiamarla?
Se non sono buoni motivi questi per scioperare Expo cosa serve ancora che accada?
Noi vi aspettiamo il 14 novembre alle 9.30 in L.go Cairoli. Perché scioperare Expo oggi, boicottarne e sabotarne gli ingranaggi nel 2015, costruirne critica e opposizione dal basso, sono per noi requisiti fondamentali e necessari per rivendicare e agire quel diritto alla città che sempre più l’economia neoliberista globalizzata, di cui Expo è immaginario, dispositivo e paradigma, ci nega.

E’ ora di #ScioperoSociale

In principio era la scarsa crescita: meno lacci e lacciuoli, costo del lavoro più basso, rilancio dell’economia.

Poi arrivò la stagnazione, differenti bolle esplosero, consentendo ristrutturazioni di interi settori a scapito dei diritti e dei salari di chi vi lavorava.
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Poi giunse la crisi finanziaria, come un’epifania, a metterci tutti in riga per lavorare per il bene di tutti, padroni e lavoratori insieme, per uscire dalla crisi. Alla crisi si è sostituita l’austerità, in tempi di vacche magre non ci potevamo permettere di suggerire di migliorare il benessere collettivo. Lo spettacolo della grande ristrutturazione globale ai più è sembrata una restaurazione, condita da megaeventi e grandi opere a fungere da acceleratore in favore dell’avvento di un nuovo ordine.
Ora ci troviamo davanti il jobs act, i decreti sfasciaitalia, una nuova retorica di governo dal sapore antico, padronale.
Ora però, il tenore di questo racconto deve cambiare! Prendete appunti, scioperiamo!
E’ tempo di sciopero sociale, anche a Milano.
Scioperiamo Expo2015, fermiamo debito, cemento e precarietà!
14 novembre – h930 – lgo cairoli

Il milione della Cgil, lo sciopero sociale, il diritto alla Città

Una delle frasi fatte che circolano di più in questi giorni, dopo la manifestazione oceanica della Cgil di sabato a Roma, è “non si può ignorare un milione di persone”. Vero, siamo d’accordo. Eppure vogliamo anche stare attenti a non cadere nell’errore opposto che, visto il vuoto politico che ci circonda, legge necessariamente nella piazza romana un segnale di nuovo conflitto e ritrovata voglia di lottare per la Cgil e dintorni. Proviamo piuttosto a suggerire qualche ragionamento.

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Anzitutto, quale il senso politico della manifestazione? Ne possiamo trovare almeno due: da un lato, un pezzo di Pd e i sopravvissuti di Sel che tentano di raccogliere consensi per modificare i rapporti di forza dentro il Pd; dall’altro, la destra sindacale della Camusso (maggioritaria nel sindacato) che porta in piazza uno strano aggregato di ex-lavoratori, categorie, simpatizzanti (segnaliamo, per onestà intellettuale, anche un buon numero di migranti ed una presenza minoritaria di giovani soprattutto meridionali) con l’unico obiettivo di ritornare alla concertazione istituzionalizzata.
In quella piazza, nonostante l’alto numero e il grande sforzo della macchina organizzativa Cgil, non possiamo poi ignorare che c’erano tante contraddizioni quanti assenti: chi ha firmato infatti gli accordi e le leggi sul lavoro degli ultimi vent’anni? Chi ha sostenuto politiche di frammentazione e atomizzazione del lavoro, limitando la propria azione di tutela alle sole roccaforti categoriali di massa e ponendo di fatto le basi per l’emarginazione progressiva del sindacato? Chi ha accettato la creazione e il conseguente allargamento di aree di lavoro segmentato, non garantito, ultra-precario (per l’appunto, i grandi assenti)?
La retorica della Camusso, dei dirigenti della minoranza Pd e, a modo suo, dello stesso Landini, è basata su quella che potremmo definire “produttività politica dei diritti”, ovvero un linguaggio ed una comunicazione che semplificano all’estremo la realtà: non considerano minimamente la gerarchia sociale e lavorativa che favorisce la precarietà, fanno leva su nostalgia del passato ed un appello generico ai “diritti” per occupare uno spazio politico (quello della difesa dei lavoratori) e garantirsi legittimità d’intervento (in quanto “uniche voci di opposizione” nel quadro dell’egemonia renziana).
Basterebbero anche solo gli obiettivi politici della piazza romana per tenerci alla larga, ma volendo evitare un atteggiamento “snob” cerchiamo di ampliare il ragionamento circa il dato sociale che ci si presenta, ponendo(ci) una domanda: è possibile leggere in quella folla una volontà conflittuale, anche solo in embrione (dopo tanti anni di silenzio)? E qui bisogna essere onesti: dipende. Ci sono gruppi sociali che hanno sentito la necessità di dare un segnale forte, mescolando le proprie ragioni con quelle di una folla più ampia dai sentimenti differenti, persone non rappresentate o in collisione con i propri dirigenti, che hanno preferito la piazza della Cgil al nulla. Erano minoranza, sicuramente ma non possiamo non vedere i disoccupati e i precari provenienti dal Sud, gli operai cassaintegrati, i migranti. Pezzetti piccoli di segmenti molto più ampli, maggioritari nella forza-lavoro, che il sindacato ha tradito e tradisce quotidianamente.
Non crediamo nella potenziale, latente, conflittualità di quella piazza: troppe svendite, troppi ritardi, troppi tradimenti in questi ultimi vent’anni. Soprattutto non vediamo una reale alternativa al modello Leopolda (di cui il Pd è sempre più una corrente), contro cui non interessa opporsi, ma solo riottenere i privilegi perduti. La concertazione, appunto. Crediamo invece nella necessità di dare forza ai percorsi di organizzare, unione, politicizzazione del precariato, dei disoccupati, di una forza-lavoro atomizzata e rassegnata all’esistente.

In questo senso si inserisce il lungo discorso sullo sciopero precario e sociale che da anni i movimenti e il sindacalismo di base provano a portare avanti (finora, purtroppo, con poco successo, eccezion fatta per i lavoratori della logistica, oggi al centro di una dinamica conflittuale). Il 14 novembre, con mobilitazioni in tutte le principali città e sul territorio, sarà tempo di #scioperosociale. Il percorso e la rete No Expo aderiranno a Milano e porteranno le proprie battaglie in quella giornata: proprio perché qui da noi, Milano e Lombardia, Expo 2015 è anche un modello lavorativo la cui funzione è fare da laboratorio per il paese di domani. Gli accordi lavorativi e sindacali regionali (quindi FIRMATI da chi sabato ha dichiarato di manifestare contro il Job’s Act) sono peggiorativi rispetto alla riforma nazionale di Renzi e Poletti: prescrivono l’utilizzo di massa del lavoro in somministrazione e del volontariato, permettono deroghe ai Ccnl, creano Zone economiche speciali sottratte alla legislazione nazionale sul lavoro, limitano (per ora in termini facoltativi) il diritto di sciopero, favoriscono il rapporto individuale eliminando legalmente la possibilità dei lavoratori di organizzarsi e protestare.

Dal nostro punto di vista (come collettivo Off Topic), infine, il senso più generale della giornata del 14 novembre sta nel forte legame tra la lotta politica sempre più ampia per il diritto alla Città e le rivendicazioni di chi, nella Città e nei territori, vive, lavora, produce in modo sempre più precario. David Harvey, nel suo Il capitalismo contro il diritto alla città, sostiene che le grandi rivolte urbane, degli ultimi due secoli almeno, sono sempre state precedute da una crisi economica, lavorativa, urbanistica delle città che non riuscivano più a far fronte alle esigenze, ai bisogni, alle condizioni materiali della massa lavoratrice (stagionale e disoccupata). Chiedendosi (e chiedendoci) “dov’è la nostra Comune di Parigi?”, Harvey si/ci interroga alla ricerca di un progetto politico in grado di tenere insieme una forza-lavoro frammentata e precaria, con interessi al suo interno divergenti, spesso disoccupata o relegata in periferie sempre più abbandonate. Quelo confederale non è un invito al conflitto, un “assalto al cielo” che forse vorrebbe una parte della sua piazza ma che non c’è. L’opzione dello sciopero precario, metropolitano e sociale è un passaggio che apre ad un nuovo  protaonismo collettivo. Scioperare la Milano di Expo 2015 è’ un invito che non possiamo non raccogliere. Qui precarietà e volontariato per profitti privati si fanno paradigma, qui occorre una presa di parola contro l’offensiva presente.

Appello e piattaforma dello sciopero sociale: http://blog.scioperosociale.it/

Per approfondire su Expo e lavoro:

Il volontariato a/l tempo di Expo2015
Il lavoro a/l tempo di Expo
Gratis non si lavora. Appello di Sergio Bologna
Recap: l’effetto Expo sull’occupazione
#AskExpo: ennessimo flop del brand Expo2015
I lavoratori del Comune di Milano contro Expo
Rappresentanza e conflitto sociale