Propaganda retorica comunale e estetica del vuoto
Chi può essere contro più verde, più alberi, più aree colorate e attrezzate per il gioco, per lo sport e per la convivialità? E quindi chi può opporsi in sé al fatto di avere meno asfalto, meno macchine, meno traffico, una maggiore mobilità ciclopedonale? Chi è contro la ristrutturazione di un vecchio mercato del 1949, portato così in classe energetica A e dotato persino di un impianto fotovoltaico sul tetto? Chi può difendere uno status quo fatto di parcheggi francamente brutti sul piano estetico e colate di cemento?
A breve partirà il progetto di rigenerazione urbana a Corvetto, attorno alla nuova sede del comune. Le vie Sile, Gamboloita, Oglio, Mincio saranno riqualificate. Cambierà la viabilità, saranno piantati degli alberi ai bordi delle strade e allargati marciapiedi e spazi pedonali, al posto di una parte dei parcheggi. Tra via Sile, via Gamboloita e via Polesine ci sarà un parco giochi, nell’area oggi utilizzata come zona di sosta per le auto. L’area sarà pedonalizzata e resa più verde con alberi e aiuole. Il vecchio mercato popolare in piazza Ferrara verrà ristrutturato dopo essere stato chiuso, con all’esterno nuovi spazi polifunzionali aperti ma coperti che riqualificheranno anche la piazza. In via Oglio l’area ora recintata davanti al Municipio 4 sarà aperta, con la rimozione della recinzione presente. Infine lo spazio interno a via Mincio, adibito a parcheggio, diventerà accessibile e sarà trasformato in una piazza attrezzata con giardino, alberi, panchine e aree sport, integrato al quartiere tramite la rimozione della recinzione degli uffici comunali.
Però l’intervento di rigenerazione urbana non risolve minimamente il problema fondamentale dell’assenza di vere politiche pubbliche di mobilità urbana e extraurbana, a Milano e ancor più a livello di città metropolitana. Basta pensare al servizio scadente offerto da Trenord per i treni regionali e i passanti ferroviari. Oppure a un sistema di metropolitana che solo con le nuove linee 4 e 5 sta cominciando a prendere in considerazione intere zone o municipi periferici mal connessi, come è ancora oggi il sud-est milanese, in particolare tra piazza Abbiategrasso e Corvetto. Non esiste un disegno complessivo che potenzi sensibilmente e in maniera organica la frequenza, la qualità e la quantità delle linee e connessioni dei trasporti pubblici, né un piano integrato di piste ciclabili che le sistematizzi e favorisca la mobilità su due ruote. In assenza di tutto questo il traffico automobilistico sarà solo spostato altrove, la mobilità su quattro ruote non diminuirà e il ricorso al trasporto privato resterà la forma privilegiata di spostamento lavorativo.
Inoltre le zone periferiche e semiperiferiche di Milano sono un cantiere unico. In particolare il sud-est, compreso tra l’ex scalo ferroviario di Porta Romana e Santa Giulia. Il paesaggio urbano è dominato dalla presenza di gru. Dall’alto sono visibili e si possono contare a decine in svariati quartieri. La realtà materiale di queste zone e municipi è fatta di densificazione urbana e demografica tramite torri e grattacieli. Senza nemmeno avere in cambio servizi pubblici adeguati. La narrazione comunale tenta di ridipingere con pennellate verdi la cementificazione che non si arresta, a colpi di greenwashing. Ma basta grattare un po’ e il colore verde si scrosta e viene via. Lascia il posto al grigio cemento.
Un programma politico classista e razzista di sostituzione sociale
Ciononostante è oggettivamente innegabile: il progetto di rigenerazione urbana che prenderà il via nei prossimi giorni e che ruota intorno alla nuova sede del comune di Milano riqualificherà le vie Sile, Gamboloita, Oglio, Mincio e piazza Ferrara e renderà questo pezzo di quartiere più bello, confortevole e vivibile. E quindi gradevole e attrattivo. Ma per chi? Per quali persone? Chi ci potrà vivere?
Il caso del vecchio mercato popolare in piazza Ferrara è emblematico. È stato volutamente lasciato all’abbandono per anni, senza investire un soldo nella manutenzione ordinaria e straordinaria, fino all’inevitabile chiusura. I vecchi commercianti si rivolgevano a una clientela popolare o di tasso medio-basso. I loro contratti non sono stati rinnovati o venivano rinnovati a breve termine, senza consentire loro di potersi proiettare economicamente nel futuro, a medio-lungo termine. Ora si vedrà quali saranno i nuovi negozianti e a quale clientela si rivolgeranno.
I due render puliti, perfetti e asettici presenti sul sito del comune di Milano e ripresi negli articoli di varie testate locali sono espressivi. Didascalici, quasi didattici e pedagogici. Parlano più di mille parole trite e ritrite. Puzzano di fake ma in realtà sono più reali della propaganda retorica ben oliata della macchina comunale. Quella sì ridotta a trionfo dell’estetica del vuoto. A forma senza sostanza. Ad assenza di pensiero da encefalogramma piatto.
I due render sono un manifesto politico chiaro e netto di trasformazione urbana radicale. Un programma classista e razzista di sostituzione sociale e anche etnica. Materializzano e rendono visibile soprattutto l’immaginario inconscio e il desiderio recondito delle menti eccelse all’origine del progetto politico, economico e tecnico di rigenerazione urbana. Politici, finanzieri, speculatori, imprenditori. Ma anche ingegneri, architette, urbanisti, avvocate e giuristi abituati a servirli, spesso con compiacenza e convinzione. Perlomeno coloro che stanno ai posti chiave di potere dirigenziale nel pubblico e in fondi speculativi, Società di Gestione del Risparmio (SGR) e negli studi legali, notarili e di architettura privati al loro servizio. La propaganda politica e giornalistica non può nascondere e cancellare ciò che mostrano i render, veri e propri lapsus inconsci. Squarci di verità feroce, di sincerità brutale.
Basta fare un giro per il quartiere, per le stesse strade e per la piazza oggetto della riqualificazione prossima ventura. Basta confrontare le facce delle persone che si incontrano per strada, che sostano sulle panchine, che entrano ed escono da bar, negozi, commerci, ristoranti, pizzerie, panifici, kebab. I loro vestiti, il loro modo di comportarsi, di vivere lo spazio pubblico. Si sente spesso parlare arabo oltre che italiano, ogni tanto spagnolo e altre lingue. Però nei render non c’è la Corvetto reale e odierna, un quartiere ibrido e meticcio abitato ancora in buona parte da classi popolari multietniche. È invisibile. Non ha diritto di esistenza, né di cittadinanza, né di rappresentazione sociale, politica e mediatica. Esiste solo nella cronaca nera, in quanto problema di sicurezza e ordine pubblico, nei discorsi sprezzanti e razzisti, nella narrazione tossica incentrata sulla coppia degrado/decoro urbano, che facilita la securizzazione poliziesca e violenta dello spazio pubblico, trasformato in zone rosse invivibili.
Di tutto questo non c’è traccia nei due render, nelle persone ben vestite, moderne e alla moda che li popolano, appartenenti a classi medie superiori, agiate e benestanti. Piccola e media borghesia. Nei render ci sono i futuri abitanti di Corvetto.
Oggi Milano si caratterizza per l’assenza e al tempo stesso la necessità di pianificazione pubblica. La pianificazione urbanistica comunale è interamente privatizzata e al servizio di un capitalismo neoliberale particolarmente feroce, violento e aggressivo.
3 luglio 2025: un bel giorno per cominciare
Però la realtà materiale è sempre attraversata da linee più o meno visibili di resistenza. Anche se resistere non basta. Serve un nuovo movimento sociale cittadino contro la gentrificazione e l’espulsione delle classi popolari e medio-basse, per il blocco degli sfratti e degli sgomberi, per un tetto al caro affitti, per contrastare gli affitti brevi.
È urgente una nuova politica pubblica urbana e per il diritto all’abitare che sostituisca l’attuale progettualità politica che “apparecchia la tavola” agli sviluppatori immobiliari e alla sostituzione abitativa. Perciò è urgente cambiare politiche urbanistiche e utilizzare appunto le leve urbanistiche per mettere davvero in atto politiche sociali, a cominciare dal riallineamento sugli standard di metropoli europee come Parigi (1054€/mq)e Berlino degli irrisori oneri di urbanizzazione milanesi, i più bassi d’Europa (132€/mq in centro e 68€/mq in periferia). E Milano deve ricominciare a costruire case popolari (8% a Milano, 25% a Parigi) tramite la riattivazione del fondo pubblico Gescal pagato da imprese e lavoratori. L’edilizia residenziale pubblica (ERP) è la vera edilizia economica e popolare. Non la truffa dell’edilizia residenziale sociale (ERS) o social housing che l’ha sostituita.
L’occasione per iniziare a fare tutto questo sarà il corteo del 3 luglio per il diritto all’abitare con partenza da piazzale Lodi alle 18.30, convocato da svariati sindacati inquilini e da molteplici realtà sociali e politiche milanesi.
Stay tuned.





