Città studi: una questione aperta, una proposta per continuare

 

Parigi, 1953
Intorno alle metà dell’800, durante il regno dell’imperatore Napoleone III, fu scelto come prefetto di Parigi il Barone Haussmann, uomo forte e deciso, descritto dalle cronache del tempo come intelligente, ambizioso e subdolo.
La trasformazione che il Barone impose a Parigi fu drastica. Adottò come nobile alibi la creazione di una nuova città, pulita e luminosa, capace di garantire, sul piano igienico e sanitario, condizioni minime di vivibilità per le masse di contadini che dalle campagne si riversavano nella capitale. In effetti la sua opera, sorretta da scrupolosità balistica, mirò alla completa distruzione di quel reticolo di vie e viuzze contorte del centro – famosa era la zona del mercato di Les Halles – che erano luoghi di epidemie ma soprattutto di rivolte.
Hausmann sventrò tutto. Trasformò l’urbanistica – se tale fu la sua competenza – in una scienza al servizio del potere, della forza e della repressione. I nuovi grandi viali dovevano essere percorribili da carri e cavalieri, e non dovevano offrire riparo dai colpi di cannone. I nuovi isolati di geometrica precisione trasformarono la Parigi di Hugo nella Città degli Eventi (oggi diremmo la città vetrina) e diedero impulso ad una innovativa dinamica speculativa, meglio nota come rendita.
I problemi veri rimasero irrisolti. I poveri rimasero irrimediabilmente poveri, i ricchi diventarono se possibile più ricchi, il potere ne approfittò per rinforzarsi.

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