L’ultima spallata ad Expo2015

Lo abbiamo sempre detto e l’abbiamo ribadito durante i the Ned – NoExpo Days che si sono aperti dopo il Primo Maggio dei precari: Expo2015 è la negazione puntuale e completa del Diritto alla Città, ovvero di un governo democratico e collettivo del territorio, di una pianificazione urbana che tenga conto delle esigenze lavorative e di vita (prima fra tutte la casa) della popolazione, di un utilizzo pubblico delle risorse comuni. Non soltanto: ha rappresentato e continua a rappresentare una scusa, un esperimento di carattere nazionale, esattamente come altri mega-eventi prima (e temiamo dopo) di esso. Da questo punto di vista, noi che non siamo giustizialisti o manettari, ci saremmo opposti (come di fatto abbiamo fatto) ad Expo anche se fosse stato “pulito”, dal punto di vista della legalità costituita.

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Il problema è che l’eccezionalità di Expo permette i più spregiudicati dei giochi e la più criminale delle gestioni della cosa pubblica: la mega inchiesta del marzo scorso riguardante Infrastrutture Lombarde e gli arresti della scorsa settimana, ribadiscono i forti interessi privati che stanno dietro al mega evento e che possono essere perseguiti anche a scapito della loro legalità, ammettendo atti di corruzione e riducendo drasticamente i controlli anti-mafia. Come in Val di Susa lo Stato copre (forse indirettamente, diamogli pure il beneficio del dubbio) gli affari dell’ndrangheta, qui a Milano il giro d’affari internazionale e nazionale deve essere tutelato da qualunque ostacolo: anche dalla manifesta incapacità dei suoi amministratori. Da questo punto di vista, si rivela profetico il nome scelto per l’Infopoint di Expo inaugurato proprio questo weekend in Largo Cairoli: ExpoGate, neanche farlo apposta! Ormai solo per gli ultimi superstiti dell’Expo-entusiasmo questo nome è riferito alla mitica porta dell’Esposizione universale, mentre per tutta Italia (e non solo) richiama altri episodi di abuso di potere e corruzione (come NigerGate e il più celebre WaterGate).

E’ esattamente questo che ci dicono i magistrati responsabili delle inchieste: Expo va avanti, anche se arrestiamo i dirigenti e i direttori generali, anche se i ritardi non permettono matematicamente di arrivare pronti all’inaugurazione. L’intreccio finanza-cemento-politica-giustizia, nonostante le apparenze esaltate dai giustizialisti di casa nostra, sostiene una legge superiore.

Da questo punto di vista, soltanto le proteste popolari, di cittadini e movimenti, possono dare la spallata definitiva ad Expo: perchè sono ostacoli esterni al cerchio magico dei poteri costituiti, non rispondono ad esigenze politiche o economiche, ma soltanto all’interesse pubblico della maggioranza e alla salvaguardia dei territori.

La vicenda della Via d’acqua, così come le proteste dei lavoratori che andranno intensificandosi e, speriamo, affiancandosi a quelle di studenti e volontari del sociale (principale bacino di reclutamento della forza lavoro sfruttata e gratuita prevista per i 6 mesi dell’evento, più i 18 che seguiranno – non si è capito ancora bene per quale ragione), parlano il linguaggio di chi può e vuole davvero fermare la mega macchina dell’Esposizione universale, proponendo un governo del territorio e della Città più eguale e solidale.

Se il terremoto politico-giudiziario e la conseguente delegittimazione pubblica non bastano, se, come dichiara il pm Edmondo Bruti Liberati hanno“reciso nel piu’ breve tempo possibile i rami malati, proprio per consentire ad Expo di ripartire al piu’ presto”, allora alimentiamo il terremoto sociale che blocchi questa gestione privatistica e criminale della cosa pubblica.

Nulla inizia e finisce con Expo. Ma, come abbiamo detto nella chiusura del nostro libro “Expopolis – Il grande gioco di Milano 2015”, il crollo e le contraddizioni di Expo possono essere la bara di questo modello di sviluppo iniquo.

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